Cuba (non) libre

Sono stata tre volte a Cuba, e ci riandrei una quarta.
L’ho esplorata in lungo e in largo, da Santiago a Maria la Gorda, dai cayos a Santa Clara, dall’Havana alla Sierra Maestra.
Ho amato smisuratamente i sui colori, i suoi profumi, la dignità e l’allegria del suo popolo, le spiagge fantastiche, la musica, l’aria dolce che sa di benzina da poco prezzo. Sono tornata negli stessi posti, ho ritrovato amici, ho scritto lunghe lettere in uno spagnolo incerto, altrettante ne ho ricevute.
Ho cercato, insomma, di visitare una Cuba diversa da quella che vedono i vacanzieri da charter all inclusive, cocktail sul mare di Varadero dove i cubani non possono entrare (a meno che non servano ai tavoli), sesso a buon mercato e sigari. Di esplorare anche l’ovest verdissimo e agricolo e l’oriente più povero e selvaggio, dove resistono ancora i tratti indios sui volti della popolazione e il gigantismo industriale (enormi fabbriche inquinanti semiabbandonate, eredità dei finanziamenti sovietici del dopo rivoluzione), è insieme squallido e patetico.
Ma ho amato, confesso, anche i suoi clichés da cartolina. Le Chevrolet anni 50, gli scorci che chiamavano la foto, i bambini scalzi che giocavano a pallone nei vicoli dell’Havana Vieja, i murales di propaganda talmente ingenui da far sorridere, i vecchi militanti duri e puri, la Bodeguita, i palazzi decadenti del Malécon, le notti di salsa e rum, i campesinos con i cappelli di paglia che incitavano i buoi ad arare un acquitrino e trovavano il tempo di salutarti quando passavi con la tua auto nuova noleggiata.
E’ umano, è facile, sembra innocuo amare di quell’isola anche i lati più turistici, folcloristici.
Gli stereotipi che Yoani Sanchéz condanna dal suo blog Generación Y, insieme al regime che da mezzo secolo detta le regole a Cuba.
34 anni, inserita da Time nella lista delle 100 persone più influenti al mondo, la Sanchéz non pontifica, non aggredisce, non polemizza. Racconta con semplicità disarmante la vita quotidiana nella Isla Grande. Piccole cose, fatte di libreta (la tessera per i rifornimenti alimentari), meccanici fantasiosi e geniali che fanno funzionare auto per le quali i pezzi di ricambio non esistono più da decenni, ottimi medici esportati ovunque a maggior gloria del regime, ma impotenti in patria perché senza medicine, burocrazia che strozza, libertà negate, amici dissidenti “spariti” senza lasciare tracce. Lei, per il momento, continua a scrivere, forse protetta dalla notorietà che ha raggiunto fuori dall’isola.
Il suo blog è diventato un libro, Cuba Libre. Vivere e scrivere all’Avana. Avrebbe dovuto presentarlo al Salone del libro di Torino ma, piuttosto prevedibilmente, le è stato negato il permesso di espatrio.
Peccato: avrebbe potuto spiegare a tanti italiani fanatici della Cuba mulatta da lastminute come si vive nell’isola da cubani e non da turisti.

7 thoughts on “Cuba (non) libre

  1. Una cosa non riesco a capire di Cuba: fino a che punto c’è censura? Ho sentito persone dire che ti arrestano per un nonnulla e c’è controllo su tutto, d’altro canto ho sentito altra gente pro-Cuba dire che è tutta propaganda contro Castro.
    Yoani Sanchez, alla fine, scrive da Cuba e scrive liberamente, no?
    Le hanno negato il visto per l’espatrio, però non è incarcerata e/o torturata, può far sentire la sua voce.
    Non riesco davvero a capire la portata della censura e invece mi piacerebbe saperne di più.
    Sono stata Cuba una sola volta e mi è bastato per amarla e per sperare che non diventi una (ennesima) propaggine turistica degli Stati Uniti.

  2. Sì, capisco la tua perplessità, che è stata ed è a volte anche la mia. Parlando con alcuni cubani sembra sia impossibile dire qualunque cosa contro al regime. Poi, però, esistono casi di dissidenti in patria ignorati o tollerati, come Yoani che, però, penso sia protetta dalla fama che è riuscita a conquistarsi all’estero prima di attirare l’attenzione del regime. Sono con te quando dici che speri non diventi un’ennesima propaggine degli USA: ho il terrore di una Cuba clone di Miami. D’altro canto, però, esattamente come è stupido e anacronistico l’embargo, non trovi altrettanto anacronistico un regime fermo alla guerra fredda?

  3. Sì, anche secondo me è anacronistico. Ma la soluzione non è facile: aprendo le porte alla libertà si rischia davvero di farsi inghiottire dagli USA in men che non si dica. Io odiavo gli USA e ora quasi li amo, ma ci sono cose che non posso sopportare, come l’appiattimento culturale (dalla cucina al cinema) e il voler ricreare lo stesso ambiente ovunque si vada. Basta vedere Cancun, per dire… Hanno cancellato l’ispanicità della Florida e della California in men che non si dica, fatto salvo qualche luogo (come le missioni californiane). E’ impressionante come la macchina produttiva degli USA schiacci e uniformi tutto.
    Negli USA c’è tutto quello che si vuole, si può far tutto, ci sono tutte le comodità, però non ci sono differenze e questo mi fa paura.

  4. che dire… ancora qualche annetto e avremo un vero ‘cuba libre’, ci saranno motori potenti a rombare per le strade nuove in asfalto, droga, armi e tutte le altre cose che ci sono nei paesi “svilluppati”, ci sarà la libertà di dire quello che si vuole ma nessuno ascolterà, basta guardare messico, gli indios e tanti altri paesi. i meccanici fantasiosi si troveranno senza lavoro, i dottori si limiteranno a dispensare i farmaci spinti dalle case farmaceutiche e i vecchi parleranno per ore con chi avrà voglia di sentire di “come si stava meglio quando si stava peggio”. come è tondo il mondo.

  5. Non vorrei aver dato l’impressione di augurarmi una Cuba omologata e a stelle e strisce: niente di più lontano dal mio pensiero. Ho amato e amo quell’isola proprio per la sua unicità. Solo, mi sono domandata tante volte, e me lo domando ancora oggi, se tra restare impantanati in una revolucion ormai anacronistica e diventare il clone di Miami non ci possa essere una terza via.

  6. Completamente d’accordo con te. La mia paura, però, è che Cuba ritorni a essere quello che era PRIMA della rivoluzione. E’ troppo vicina agli USA.

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