Istanbul: il Gran Bazar

bazarIniziamo dal Gran Bazar, ovviamente.
Per una shopaholic, pensare di penetrare una città nella città, fatta di 200.000 metri quadrati (duecentomila!!! Il mercato coperto più grande del mondo!) di negozi, stand, bancarelle della mercanzia più svariata dà una leggera vertigine. Purtroppo le mie ore a disposizione erano tre scarse, per cui una selezione si è imposta. Anche perché se no, una volta dentro si rischia di finire risucchiati dalle vetrine e dal luccichio della mercanzia e di perdersi (molto più facile di quello che si possa pensare: sono a disposizione apposite mappe con le vie principali del Bazar. Per avere un’idea delle aree tematiche, leggete qui.)
Per chi ha avuto l’esperienza del Cairo o in generale dei bazar egiziani, una buona sorpresa: i venditori qui sono solo moderatamente insistenti, propongono di entrare a dare un’occhiata ma accettano di buon grado un no, grazie e anche il mercanteggio sul prezzo, benché parte integrante dell’acquisto, è meno ansiogeno e concitato. In più il Bazar è bellissimo: ben tenuto, piacevole da girare, con bellissime volte decorate da piastrelle mosaico turchesi.
Poi, la merce: di tutto, di più. Dalle bancarelle di abiti a poche lire turche (o dollari, o euro; qui si accetta di tutto) alle borse Prada e D&G taroccate coraggiosamente esposte in vetrina, alle splendide lanterne da appendere in giardino, alle scimitarre, al bellissimo vasellame dai colori sgargianti, fino alle pietre semipreziose con le quali rapidi gioiellieri infilano collane sul momento.
E, ovviamente, i tappeti, onnipresenti. Il mio però l’ho comprato in un bazar decisamente più piccolo e riposante ma, mi dicono, specializzato in tappeti, proprio di fronte alla Moschea Blu, accanto al Museo del Kilim. Aziz, per metà turco e per metà curdo, mi ha intortato raccontandomi la storia di ogni tappeto che mi sciorinava davanti (“Questo è stato tessuto 30 anni fa al confine con il Kurdistan e serviva come tavolo, dove le famiglie nomadi mangiavano” “Questo fungeva da sella per il cavallo” “Questo era la culla di un bimbo”) e poco importa se erano tutte balle, erano comunque affascinanti. E’ stato un piacere ascoltarlo anche perché, rarità delle rarità, parlava un buon inglese e un perfetto francese. Chissà le risate che si è fatto alle mie spalle, però, quando mi ha visto controllare, sul retro del mio kilim, il numero dei nodi, come avevo letto che si deve fare nella guida.
Comunque il mio tappeto bianco, rosso e blu navy ora fa bella mostra di sé sotto il tavolo in sala e io ne sono felicissima.
Prima di uscire dal bazar, ho acquistato una decina di “occhioni” come li chiamo io, i tradizionali portafortuna turchi in vetro blu cobalto che raffigurano un occhio. Qui li trovi ovunque: incastonati sui muri delle case, sui marciapiedi, in tasca della gente. Hai visto mai, io li ho comprati, poi si vedrà.
Pausa rigenerante in un han, uno dei tanti cortili interni limitrofi al bazar. Erano i vecchi cavanserragli dove si riposavano le comitive in viaggio e i loro animali, oggi sono oasi di frescura e silenzio (muezzin permettendo) dove è possibile gustare un te aromatico (buonissimo quello alla mela), fumare il narghilé o continuare con gli acquisti nei negozietti più tranquilli che si affacciano nel cortile.

7 thoughts on “Istanbul: il Gran Bazar

  1. Ma sì, una camicetta, dieci “occhioni” e due tappeti, tutto sommato per i miei standard va bene. Sai cosa, c’era troppa offerta, alla fine ti confonde ;-)

  2. Quasi come i commercianti di Honk Kong se ti fermi per 2/3 secondi davanti alla vetrina sei salvo.. ma se sosti di più vengono fuori a prenderti
    je avrà avuto ancora ancora qualche sintomo dello space clearing della scarpiera:)

  3. Je, mi hai tolto le parole di bocca…niente scarpe?????

  4. je e Sara: non ho la passione per le babbucce con la punta in su stile Aladino…
    Dania: certo, come no. Uno che sfoggia la prima first lady velata, che meraviglia.

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