L’amore al tempo dei Quechua

Sulle donne e sull’amore ho imparato qualcosa durante questo viaggio.
Ho ammirato i costumi tradizionali delle donne indigene, con le loro gonne lunghe multistrato che richiamano le pannocchie, fonte di sostentamento primaria delle popolazioni andine.
Gonne e passamanerie colorate servono a proteggere, metaforicamente e non, il grembo femminile
, la fonte di vita. Purtroppo va detto che i costumi che noi oggi consideriamo “tradizionali” sono stati in realtà imposti dalla Corona spagnola durante il tragico eccidio indigeno seguito alla “scoperta” dell’America: troppo “audaci” le mises delle indigene, troppo scabrosi i lunghissimi capelli neri e lucidi sciolti: la Spagna impose gonne lunghe, camicette accollate e capelli divisi con la scriminatura centrale e raccolti in due trecce, in puro stile castigliano.


Se vi interessa approfondire la tragica storia dell’eccidio e dello sfruttamento dell’America Latina che con altri nomi, come “Buon Vicinato” o “Aiuto allo sviluppo” continua ancora oggi, vi consiglio la lettura de Le vene aperte dell’America Latina, di Eduardo Galeano: un testo basilare, che risale al 1970, ma ancora attuale, documentatissimo e scritto con uno stile immediato e chiaro.

E sotto i costumi?

Ho scoperto che le famiglie indigene del pàramo, la fredda e brulla prateria andina di alta quota, dormivano tutte insieme in una stanza: quando marito e moglie cercavano un po’ di intimità, uscivano, come diremmo noi, in camporella. Anche perché credevano che il contatto con la Pachamama, la Madre Terra, aumentasse la fertilità femminile.
Chissà che freddo, comunque. Non voglio nemmeno pensarci.

E a proposito di fertilità, la nostra guida indigena durante la passeggiata a tremila metri nei dintorni di Cuenca, alla scoperta della vita andina, mi raccontava di essere figlio di una curandera , ossia di una donna che curava tramite le erbe officinali e che gli ha trasmesso i segreti di questa arte, e quindi di non avere mai preso una medicina “chimica” (a 53 anni sembrava un ragazzino).
E ha aggiunto di avere sette figli.

“Sette figli? Però, complimenti”, dico io.
“Sono troppi, vero?”
“Troppi? Ma no, figurati”
“Tu sei sposata?”
”Sì, da un anno”
“Hai figli?”
“No, nessuno”
“E…come hai fatto?”

A tremila metri di quota, con il fiato corto per la passeggiata, nel cielo turchese delle Ande e con il mio povero spagnolo, spiegare la contraccezione a un indigeno figlio di una curandera che mi aveva appena mostrato il sentiero degli Inca per arrivare in Perù, mi è sembrata un’impresa insormontabile.

Ho alzato gli occhi al cielo, come a far intendere che finora era andata così.

4 thoughts on “L’amore al tempo dei Quechua

  1. Bellissimo pezzo Bà. Ed hai fatto benissimo a tacere, sull’ultima domanda ;)

    Credo che una delle cose più belle, del viaggio che stai facendo, è proprio la visione del mondo che si ha, da lì.

    Un bacio

  2. Sì…in effetti tacere è stata la risposta più intelligente ;-)

    A presto ciao!

  3. …e comunque si, soprattutto a queste latitudini (l’impatto con il Suamerica è davvero molto “forte”) il viaggio è tutto interiore, tutto di sensazioni, frasi, sguardi che cogli negli occhi della gente.

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