Quasi quasi mi licenzio, ovvero: ancora sul downshifting

Quindi, non sono io a esserne ossessionata. Il downshifting è una moda, una tendenza, un desiderio. Anche un obbligo a volte, vista la crisi e i famosi tempichecorrono. Ma se dovesse capitare di essere sbattuti fuori, insomma, meglio essere preparati e considerare il licenziamento come un’opportunità, o no?
Quindi, dopo l’ottimo successo di Simone Perotti con il suo Adesso basta (ne parliamo qui) è arrivato qualche settimana fa Quasi quasi mi licenzio. Non è mai troppo tardi per cambiare vita (Roberto D’Incau e Rosa Tessa, Salani). I due autori, un cacciatore di testa e una giornalista, cercano di rispondere alla solita domanda: “Sì, ma come faccio a licenziarmi? Chi me le paga, poi, le bollette, il mutuo, le rate dell’auto, i weekend a Cortina, la ceretta, i Gratta e Vinci per diventare milionario?”. Lo fanno citando numerosi esempi di persone, famose e non, che ce l’hanno fatta. Che hanno ribaltato il luogo comune per cui la perdita del lavoro è una catastrofe e l’impiego è un male necessario che non ammette deviazioni. Che hanno smesso di sacrificarsi per esaltare invece la propria individualità.
Perché, attenzione: se già pensavate che i suggerimenti di Perotti fossero, per voi, impossibili da mettere in pratica; se già credevate che il downshifting non fosse alla vostra portata, questo libro forse va ancora oltre: pratica l’upshifting ossia licenziarsi sì, ma per seguire le proprie aspirazioni e i propri talenti e quindi migliorarsi.
Gli esempi cui ispirarsi sono nelle interviste di Rosa Tessa, fra cui Maurizio Modica e Piero Gigliotti, aka Frankie Morello. Il primo ex ballerino e coreografo, il secondo ex architetto della Milano bene, oggi disegnano e producono con successo abiti e accessori moda. O Mario Bellini che, all’apice del successo come designer e vincitore di più di un Compasso d’Oro, a cinquant’anni ricomincia da capo e si mette a fare l’architetto. Oppure Marzia Chierichetti stylist milanese che ha mollato tutto per mettere su famiglia e seguire il suo compagno a Malindi dove ha aperto una piccola azienda di eco-arredo (qualche info qui).
Proprio le donne, secondo gli autori, sono le più flessibili (ma davvero?) e pronte a mettersi in gioco: “Quando cambiano vita, lo fanno senza il calcolo ma con grande slancio e generosità verso se stesse e gli altri”.
Generose pure quando decidiamo di mollare tutto; ma allora, è una condanna.

23 thoughts on “Quasi quasi mi licenzio, ovvero: ancora sul downshifting

  1. Come faccio a parlare di questo argomento???
    Lavoro in azienda di famiglia sono arrivato qui (in questo pseudo ufficio) nel 1973 avevo 8 anni, oggi ne ho 45 lavoro dalle 12 alle 15 ore al giorno 6 giorni su 7,sempre che non sia come questa settimana che sono 7/7, non porto più l’orologio da almeno 5/6 anni ovvero da quando ho capito che non mi serviva. Sto per sostituire una temperatrice del cioccolato che mi obbligherà a seguire un corso di almeno 2/3 giorni, 10.000 euro per sciogliere un pò di cioccolato
    Lo stato ha deciso che sono un brigante ed ho negli ultimi 5 anni anni avuto almeno 12 contenziosi con lo stesso di cui attualmente 8 vinti e 4 in via di definizione. Perchè faccio tutto questo il mio sogno è uno chalet in canada in riva ad un lago, dove si può arrivare solo con l’idrovolante, la scure piantata davanti al portico su di un ciocco di abete canadese, e la canna da pesca lì in bilico sullo stipite di casa, ed il primo vicino a 130 miglia.
    Perchè non lo faccio, Perchè qui mi diverto come un matto:)
    com’è che si chiama ? downshifting che poi chissà cosa vuol dire

  2. piu’ che downshifting, questo mi sembra il ‘Follow your bliss’ alla joseph cambell. NOn c’e’ niente di down nel seguire quello che una voce interiore/chiamata ti suggerisce di fare.Down mi sembra piuttosto la tendenza a soffocare, reprimire e ammutolire queste passioni per difendere ‘weekends a cortina,la ceretta,la gold card di british airways’ (confesso di aver sperimentato almeno una di queste paure prima di fare uno dei miei ‘salti’).DOwn mi sembra essere piu’ attacati e appasionati ai beni materiali che a sviluppare il nosto potenziale.

    Per quanto riguarda la flessibilita’, le cose adesso poi stanno cambiando un poco. Mi vengono in mente almeno 5 casi (fuori dall’italia si intende) di amici in cui il lavoro della moglie permette al marito di praticare flessibilita’ e dedicarsi ad intraprendere.

  3. Luca, ma tu sei un caso a parte!
    Fed: sì, fuori dall’Italia appunto. Certo che è un mantra un po’ di autoaiuto alla Follow your bliss. In ogni caso per me tutto ciò che può contribuire a liberare la mente della gente che non si rende conto di essere schiava, è un bene.

  4. concordo blimunda, ogni mantra per ricordarci che possiamo essere anime salve e che non e’ mai troppo tardi per preprarsi per una vita inaspettata.il tutto a patto che uno si renda conto che le paure piu’ forte sono legate alle varie pressioini sociali che quotidianamente subiamo. per questo che e’ piu’ facile ri-inventarsi vivendo fuori, lasciando le aspettative altrui per compiere le aspettative proprie.abracos

  5. Sì, però sto downshifting lo possono fare solo pochi eletti, su!
    O hai un marito/moglie che guadagna abbastanza per due e puoi permetterti di rischiare con l’albergo eco-chic o con qualcos’altro, oppure hai una professionalità molto solida e tanti soldini in banca che ti consentono di fare la stessa cosa.
    Cioè: parliamo di architetti, ballerini, eccetera, gente che comunque ha conoscenze (anche nel senso di persone che conosce) tali da potersi reinserire nel mondo del lavoro da zero.

    Se però parliamo di E., operaia in fabbrica con figli e marito pure lui operaio, oppure di M., casalinga con marito dipendente di una ditta di elettricisti, la solfa cambia parecchio.
    Io non credo che una come E. possa mollare il lavoro per inseguire le sue passioni, che magari sono quelle di fare la pittrice su ceramica.

    O sbaglio?

  6. Ghghghghghghgh, anzi no waaaaaaaaaaaaaaaaa. Scusa Blimunda, mi è venuto da ridere e poi da piangere. Anche io vorrei cambiare tanto lavoro, ma per un motivo molto basico: guadagno poco (a me un “pezzo” di cronaca da oltre 3000 battute me lo pagano 13 euro lordi, non scherzo) e il quotidiano su carta stampata è davvero sull’orlo del precipizio, per cui meglio darsela a gambe prima che sia troppo tardi. Il problema è che i signori citati in esempio (come evidenzia anche la.stefi) sono professionisti affermatissimi, che tutti li vogliono e tutti li cercano come il barbiere di Siviglia, e presumo siano anche impaccati di quattrini. Onde per cui anche dovessero trascorrere sei mesi a correr dietro alle farfalle il denaro per bollette/affitto/scatolette del gatto, presumo non mancherebbe di certo. E gli altri, quelli “normali” come fanno?
    E già che siamo in argomento, visto che hai lanciato la discussione, cerco lavoro, qualsiasi lavoro legato alla scrittura (purtroppo è l’unica cosa in cui mi destreggio, mannaggia avessi dato retta a mia mamma che mi voleva prof.), faccio tutto (cronaca nera, bianca, politica, testi e “animazione” di blog aziendali, comunicati per eventi di qualsiasi natura) tranne “baciare sulla bocca” (cfr. Pretty Woman, per lei questa frase ha funzionato) e mi scuso con te Blimunda per questo uso improprio del tuo spazio, però questo commento mi è scappato dal cuore.
    Marina

  7. in realta’tutti possono ,in maniera piu’ o meno radicale ,praticare il downshifting. decidere di guadagnare meno o controllare le spese o vivere in zone meno costose per guadagnare piu’ tempo libero e tempo da dedicare ad attivita’ che portano maggiore soddisfazione personale. Grazie all’internet e al telelavoro tutto questo e’ molto piu’ possibile oggi di quanto lo fosse 15 anni fa.

    upshifting, significa salire di marcia, quindi forse e applicabile solo a chi decide di intraprendere una nuova carriera con maggiore rischio/beneficio. Chi passa dal corporate ad un’attivita’ di consulenza in proprio, chi lascia un impiego per aprire un’attivita’ commerciale (una macceleria, eco-chic o no), diventare insegnante di yoga, danza, coaching, excel etc…..

    in entrambi i casi pero’ si tratta di liberarsi delle aspettative di una classe sociale specifica per vivere ad un ritmo piu’ personale dove e l’individuo che giudica il proprio livello di soddisfazione personale, ricchezza e felicita’, senza doversi necessariamente preoccupare del giudizio del vicino di scrivania o del vicino di casa. Cioe’ quello che alcuni economisti definiscono come ‘richezza relativa’, non e’ imporante essere ricchi in senso assoluto e non e’ importante essere tanto ricchi quanto Tronchetti Provera, quello che conta e’ essere tanto ricchi e avere altretatno succsso quanto tuo cognato/a. Libearsi di questa percezione-preoccupazione gia’ e’ un passo che libera tempo per pensare a come fare down/up/later shifting.

  8. Grazie fed, ti eleggo viceblogger per quando sono in giro e non riesco a rispondere!
    Scherzi a parte, sono molto d’accordo. Non ne farei una questione di tipo di professione, o di talenti, ma di attitudine mentale. E aggiungo: quante persone portano avanti una vita di routine e frustrazione, non provando neppure ad alzare la testa dalla loro pista di formiche per vedere cosa c’è oltre?

  9. fed a me sembra che i tuoi siano luoghi lievemente comuni: guadagnare meno, vivere meglio, spendere meno, avere più tempo libero, etc, etc, etc. Vivo nelle Marche, per la precisione in provincia di Ancona. Penso che le crocchette per gatti e la pasta abbiano lo stesso identico prezzo qua e a Milano, il telefono pure e la corrente elettrica, il metano e il treno anche. Certo se mi vado a fare una frittura di pesce sulla spiaggia di Portonovo mediamente pago meno di una pizza a Milano. E secondo te ad Ancona (100 mila abitanti su una regione di neanche un milione e mezzo) ci si campa con una macelleria eco-chic, lo yoga, la danza? Ma se persino Ikea ha stentato ad aprire appunto per via del bacino di utenza estremamente ridotto.
    Ah, la testa dalla pista di formiche l’ho alzata, altroché se l’ho alzata.

  10. Marina, io non voglio certo dire che sia facile; dico solo, però, che con i nostri dubbi, ansie, insicurezze e (legittime) paure, a volte la si fa anche più difficile di quanto sia già. E aggiungo anche che non è una strada per tutti: conosco persone, ad esempio, che vivono benissimo all’interno di un percorso aziendale o comunque di lavoro dipendente, e mai si vedrebbero in altri modi. Però, se così non è, e dato che la vita è dispari (ossia: una e una sola), non pensi valga la pena di impegnare tutte le proprie forze per cambiare modo di viverla? La macelleria può anche non essere eco chic, ma se quello che vogliamo è un lavoro autonomo, perché no?
    E infine: le città si possono cambiare. Anche loro.

  11. Un chiarimento doveroso, non sono io che ho invento il concetto del downshifting e forse non ne sono neanche un buon esponente viste le mie scelte di vita. Ma l’idea alla base del downshifting e’ proprio quella di contenere i costi, dedicare piu’ tempo alle attivita’ personali e farvorire una visione olistica del vivere.

    L’idea alla base di tutto e’ che una visione estremamente consumista della vita e’ accompagnata da un profondo stress. In questo senso, togliere dalla lista della spesa cio’ che non e’ indispensabile, comprare oggetti di seconda mano, costruire oggetti, reciclare/riusare,non usare la macchina ma andare in bicicletta quando possibile,non andare in palestra ma correre al parco ed evitare acquisti impulsivi sono piccoli passi ma che aiutano a ridurre le spese.

    Principalmente in societa’ industirali e con forte terziario, come stati uniti e inghilterra, questo concetto e’ oggi popolare. Come accenna blimunda nell’ultimo post, si tratta di scelte individuali ma anche di stili collettivi e di modi in cui il lavoro e le citta’ vengono intesi e gestiti. A volte si tratta di cambiare lavoro, a volte citta’ altre volte di immigrare (come nel caso di molti londinesi che cercano un lifestyle piu’ sereno in australia o in spagna).

    Ritornando al post originale, un punto importante da ricordare e’ che oggi esistono piu’ alternative e una maggiore opportunita’ di mobilita’ verso l’alto, il basso o lateralmente.Esiste una dinamica diversa del nucleo familiare che permette una maggiore flessibilita’ e anche molte multinazionali occidentali si stanno adeguando ad introdurre schemi diversi dal classico ‘dalle 9 alle 5′ con part-time, lavoro a distanza etc…

    Personalmente ritengo che ,Rispetto alle generazioni precedenti, abbiamo molta piu’ possibilita’ di disegnare lo stile di vita che piu’ ci assomiglia. Vale la pena provarci.

  12. Vale la pena, sì. Ne abbiamo una di vita, ripeto.
    Poi, io ci ho messo anni per capire cosa volevo fare da grande e sono per ora solo arrivata a sapere, come scrisse Montale, “ciò che non voglio, ciò che non sono”. Ma è un inizio.

  13. Un argomento del quale posso parlare con una certa cognizione di causa! Io ho “downshiftato”, direi involontariamente, e mi sono resa conto tardi che la cosa era trendy.
    (breve bio: due anni fa ho lasciato la città, dove lavoravo nella redazione di una patinata rivista di settore, ora sto in un piccolo centro dove collaboro con testate di informazione locale, lavoro molto da casa, guadagno poco e arrotondo dando la mano nella gestione di un piccolo residence della famiglia del mio compagno. Ho quasi dismesso la macchina, mi permetto ritmi di vita abbastanza rilassati e, quindi, oggettivamente non ho molto tempo libero. Sto pensando di farmi la seconda laurea, ma non so…sto valutando).

    Dall’alto (basso??) della mia personalissima esperienza posso dire che:
    1) Hanno ragione quelli che dicono che bisogna avere almeno una piccola, fragile, rete di protezione (nel mio caso abitare in una casa nella quale non pago ne’ affitto nè mutuo, non avere figli e non vivere comunque sola). Altrimenti è tutto puramente utopico. Gli esempi che fa Blimunda sono molto belli ma non hanno nulla a che vedere con la realtà di chi è costretto a rimettersi in gioco, magari dopo aver fatto per 20 anni lo stesso lavoro.

    2) Sono inevitabili alcuni momenti di grande perplessità (Ad esempio quello di cui parlavo qui: http://www.rossanaturale.splinder.com/post/22465578/Vita+da+freelance…tanto essere in tema coi 13 euro di Marina :-).
    Guadagnare poco non è solo un problema economico, paradossalmente, rappresenta un modo di valutare stessi sul piano professionale e a volte è un giudizio che sega le gambe all’autostima. Non esattamente come vincere il compasso D’oro…

    3)Più che l’età e la formazione (che comunque pesano TANTO) conta la capacità di immaginarsi in una vita diversa, di sgusciare via da un percorso che siamo stati noi a scegliere; a volte si tratta di ammettere di aver sbagliato, che non ha funzionato o di essere cambiati in una direzione inaspettata. Non è necessiamente una scelta libera e leggera. La maggior parte delle gente non è “programmata” per farlo in nessun settore della vita.

    4) Una domanda: Se è vero che il downshifting è “una moda, una tendenza”, sulla quale si spendono libri e articoli…cosa ne sarà di chi l’ha praticato quando la moda inevitabilmente passerà e si spenderanno libri e articoli per dirci quanto è bello realizzarsi nella professione, comprarsi le ville e quando verrà riproposto (o ri-imposto) il mito della carriera? Potremmo essere troppo vecchie per “riciclarci” per la terza volta :-))

    Scusate le lungaggini…. :-)

  14. Concordo con Marina e con Rossa Naturale. E’ ovvio che fare downshifting a New York o Milano è abbastanza possibile: ci sono più opportunità e più persone diverse.
    Però è anche ovvio che io (che ho mollato una carriera di tutto rispetto per rimettermi a studiare) ho potuto farlo proprio perché mio marito aveva uno stipendio sicuro tutti i mesi e quindi eravamo tranquilli.
    Noi non siamo spendaccioni: io sono una persona abbastanza ecologista, non seguo la moda, non mi doto di tutti i gadget e gli elettrodomestici che escono sul mercato, la mia lavatrice, frigo e forno hanno 10 anni, la mia macchinina-ina-ina ha 15 anni, vado in giro a piedi o in bici, non guardo la televisione, non vado nemmeno dall’estetista.
    Soldi non ne butto, insomma.
    Ma le bollette arrivano e se volessi pagarle con le mie traduzioni, sarei già morta di fame.
    Per non parlare di sfortune varie come visite specialistiche o cure mediche, che possono capitare, purtroppo.

    Io ribadisco che la mia vicina di casa, con marito operaio, pur avendo fatto downshifting in seguito a una grave malattia, non è che se la passi tanto meglio di prima.

    Cioè: un conto è non mettere la carriera e il possesso delle cose materiali al primo posto, e io sono la prima a farlo, lo facevo anche quando guadagnavo molto e infatti eccomi qui, fuori da quel giro a cui non ho saputo adeguarmi; un altro conto è invece suggerire a una famiglia con reddito TOTALE di 2000 euro al mese di risparmiare e di non usare la macchina o di non comprare cose inutili. Mi sembra un suggerimento offensivo, perché persone come quelle di sicuro non spendono e spandono in ville od oggetti di lusso, ma tirano alla fino fine del mese dignitosamente.

  15. – il downshifting e’ una realta’ sociale in paesi come USA, Inghilterra ed australia. Il principio alla base e’ di dedicare piu’ tempo al non lavoro per dedicarsi ad attivita’ personali, di supporto alla famiglia o della comunita’ di appartenenza.

    – la filosofia del downshifting intesa in questi paesi non e’ necessariamente radicale ma anzi basata su piccole scelte quotidiane e, proprio per questo motivo, applicabile ad una vasta area sociale. non solo ai benestanti.

    – questo stile di vita diventa una cultura condivisa dal nucleo famigliare e passata ai figli, in contrasto con altri valori che appartengono a societa’ consumistiche. si cerca di dare piu’ valore al tempo e gli scambi interpersonali che alle cose.

    – l’upshifting non e’ un vero e proprio movimento. sembra piu’ un termine inventato adhoc per inviduare chi si e’ stufato di uno stile di vita che offre conforto e protezione ma che limita il potenziale personale e ha la possibilita’ di seguire la propria vocazione. Non mi sembra che questo comporti ridurre il lavoro ma forse semplicemente usare il tempo in modo diverso e guadagnare per intraprendere e pensare piuttosto che per fare. Forse un passo piu’ difficile da fare e piu’ radicale ma, di nuovo, grazie alle moderne tecnologie molto ma molto piu’ facile da fare oggi di quanto non lo fosse 15 anni fa.

    credo che l’intenzione del post originale non fosse quella di fornire una pancea per la societa’ in cui viviamo, quanto quella di offrire degli spunti di riflessione. il sapere che esistono altre possibilita’, che la realta’ come la intendiamo non e’ fissa ma aperta ad interpretazioni e cambiamenti e’ importante.Il sapere che esistono persone che si muovono in direzioni diverse, che la soddisfazione personale puo’ essere trovata in luoghi impensati e’ uno stimolo importante.

    pensare creativamente alla propria vita e’ un lusso che chiunque si puo’ permettere. E mi stupisco, e rammarico, che un paese noto per il suo ingegno e arte di arrangiarsi come l’italia sia caduto in uno stato di depressione collettiva in cui il bicchiere e’ sempre mezzo vuoto.

  16. Sono assolutamente d’accordo se mi dite che è possibile ridimensionare la pressione di falsi bisogni, consumismo e inerzie; sono assolutamente d’accordo se mi dite che occorre salvaguardare spazi di qualità di vita al di fuori del lavoro. Ma resto convinta che ci voglia anche pudore, da parte di top manager e creativi che mollano tutto per aprire un baretto sulla spiaggia, davanti a chi fatica a mettere insieme il pranzo con la cena (o la retta del nido con la rata del mutuo).

  17. Downshifting è anche smettere di fare ore e ore di straordinari. Si guadagna meno (se gli straordinari te li pagano), forse si farà meno carriera ma si recupera molto in qualità della vita.

    Vedo spesso persone che pensano che lavorare 14 ore al giorno sia un merito.

    Interessante dibattito!

    D.

  18. raffaella e daniela: il downshifting infatti è modulabile sulle esigenze di ognuno. Potrebbe anche essere tagliare gli straordinari. Oppure modificare l’atteggiamento nei confronti del lavoro; lavorare sì, ma non più fagocitare dal lavoro.

  19. Down o up che sia, io questo shifting lo sto attuando proprio in questo periodo.

    Non perchè non mi piacesse il mio lavoro (che fino a un anno fa era esattamente il lavoro dei miei sogni), ma a causa di una – neanche tanto improvvisa, è un interesse che coltivavo da parecchi anni – passione per altri argomenti e per altri luoghi, che a un certo punto è diventata incontrollabile: quella per la cooperazione allo sviluppo.

    Sono facilitata perchè non ho mutui da pagare e figli da mantenere (d’altra parte, non ho ancora superato la soglia dei 30). Ma ciò non toglie che, per potermi permettere di rinunciare allo stipendio per un lungo periodo… beh, ho dovuto lavorarci su: un tot di mesi di vita monacale e, nottetempo, opera di “progettazione” di quella che vorrei diventasse la mia nuova attività. Niente shopping, viaggi e cene fuori, per mettere da parte il mio “salvagente monetario”, che non si sa mai!

    Unico neo, il fidanzato che resterà a casa. Per il resto, fino ad ora tutto sta andando secondo i piani. A mano a mano che la partenza si avvicina, l’adrenalina sostituisce quel po’ di fisiologica ansia. Che dire… incrocio le dita, e spero che il mio shifting prenda una piega UP!

  20. Pink Coffee: chapeau. Un ottimo motivo per fare down (o up) shifting. Racocntaci come va e in bocca al lupo!

  21. Grazie Blimunda! Racconterò di sicuro, da qualche parte su Internet. Per ora, ho ancora qualche mese per sistemare gli ultimi dettagli… e si sa, gli ultimi dettagli sono sempre più numerosi del previsto, eheheh!! E crepi il lupo :-)

  22. “Sono facilitata perchè non ho mutui da pagare e figli da mantenere (d’altra parte, non ho ancora superato la soglia dei 30)”

    Ma perchè una volta superati i 30 è obbligatorio far germogliare figli o mutui? Ti spuntano come le rughette attorno agli occhi?
    Ma tiè! :-))))

  23. Nel percorso forse sbagliato che ci si è costruiti, si può essere arrivati a conoscere ciò che non vogliamo. Questo potrebbe essere una molla non sufficiente per riuscire a spostarci. O meglio, probabilmente non da soli. In un forum come questo, si potrebbero costruire reti di aiuto reciproco, coalizioni per permettere al potenziale “shifter” di trovare forze e alleati per farlo. Un dipendente stressato e deluso (di sè e della sua storia) potrebbe avere la capacità di mettersi in una nuova attività ma non ha il coraggio di farlo da solo e non ha trovato nella sua cerchia persone per farlo, perché non sentono lo stesso bisogno. In questo blog, qualcuno ha approfondito la conoscenza con qualcun altro, o si sono fatti soltanto scambi di opinioni?
    Spanni

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