Sucate e i link mancati

Due righe sul caso Sucate (#sucate), tragica gaffe nella quale è incappata Letizia Moratti, o meglio il suo staff, o meglio “l’elfo al quale ho lasciato l’account” che ha creduto fermamente all’esistenza del quartiere di Sucate a Milano e ha rassicurato gli abitanti sulla tolleranza zero verso l’altrettanto fantomatica moschea abusiva. Rispondendo peraltro all’utente sbagliato, ma son dettagli.
Abbiamo sorriso, abbiamo proprio riso, alla fine ci siamo anche un po’ annoiati (io, almeno) di fronte al proliferare di immagini, post, thread, dirette da Sucate, slogan, eccetera eccetera (i miei preferiti: il video dell’Intervallo vintage e la moschea virtuale, puro genio).

Personalmente:

– Sono molto, molto contenta di questa gaffe perché forse servirà finalmente a far capire che essere sui media sociali e saperli usare sono due cose molto diverse. Che non basta svegliarsi a una settimana dal ballottaggio e tentare di colmare un divario costruito in mesi di lavoro a colpi di migliaia di utenti al giorno. Come è successo recentemente per Patrizia Pepe, usare i social media con la grazia di un elefante in una cristalleria rischia di diventare un boomerang sui denti.

Come si diceva a proposito dei blog? Meglio non avere un blog che averne uno morto. Ecco. La rete è come l’acqua, corre in tutte le direzioni, non è “pago uno spazio, ottengo qualcosa in cambio”. Magari dopo il Sucategate, le professionalità di chi ci lavora saranno riconosciute un po’ di più e si smetterà di pensare che:

a. Internet fa tutto da sola, basta schiacciare un bottone;
b. chiunque è in grado di gestire un account Twitter o Facebook;
c. chiunque è in grado di affrontare un momento di crisi sui social media. Aprire e alimentare un account può essere semplice finché tutto fila liscio, ma è la gestione della crisi che fa la differenza, e per quella ci vogliono dei professionisti;

– Qualunque cosa può diventare in un pomeriggio trending topic su Twitter. C’è riuscita giorni fa una  #italianrevolution, figuriamoci una cosa obbiettivamente divertente come la moschea abusiva in via Puppa;

– I nostri politici continuano a non conoscere il territorio nel quale si stanno candidando, come ricorda Enrico Sola;

– La transumanza dal web ai siti di informazione segue un percorso preciso; solitamente prima lo riprende Il Post, poi Repubblica, poi il Corriere. In questo caso, data la valenza politica, la prima è stata l’Unità che ha originato una serie di cloni. Tutti, però, negano dignità di fonte primaria a Twitter; non linkano il twitter incriminato e citano solo la testata che li ha preceduti, possibilmente senza linkarla, al solito. Lo fa il Corriere che cita Il Post, l’unico a riportare il tweet, lo fa Repubblica e lo fa anche Giglioli.

Com’è che era? Ah sì: Do Your Best and Link to the Rest.

16 thoughts on “Sucate e i link mancati

  1. "ha creduto fermamente all’esistenza del quartiere di Sucate a Milano"

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  2. Slow, non ho scritto di averlo letto. Lo penso io, perché se qualcuno risponde seriamente a una domanda su un quartiere che non esiste, penso che creda all’esistenza del quartiere.

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  3. oppure potrebbe semplicemente cogliere lo spunto per ribadire un punto del programma, ma mi rendo conto che è una elaborazione mentale fuori dalla portata del frequentatore medio di Ff, e non certo per eccesso di malizia e opportunismo. Insomma se l’ingenuità sta nel non aver saputo prevedere la travolgente portata intellettuale delle conseguenze sui sn, la Moratti può dormire sonni tranquilli (anche a prescindere dall’esito del ballottaggio, direi).

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