Traslocando. La coperta messicana

Mentre riesumavo cadaveri dall’armadio – una felpa Best Company messa e stramessa che ancora mi fa venire i bividi al pensiero di quante mancette mi servirono per comprarla, era forse il 1985; scarpe improbabili, camicie che tirano sul seno (una decina), serpentoni di calze parigine intonse da riutilizzare come paraspifferi, eccetera) è uscita fuori una coperta messicana. Una di quelle coperte che se vai oggi in un qualsiasi mercatino ne trovi tante da avvolgerti come una mummia. E però io l’ho comprata in Messico, in una di quelle vacanze che facevo prima, con lo zaino e le amiche, era il 1999, lavoravo, vivevo da sola a Milano, mi sentivo superfiga e con il mondo in mano e andavo in Messico con le mie amiche avendo prenotato solo il volo e la prima notte in hotel.
Una di quelle vacanze che ora che son passati 12 anni tendo a ricordare come la più bella della mia vita, e sì che di vacanze belle dopo ne ho fatte ancora, però forse quella è stata l’ultima della stupidera, l’ultima per la quale non ho stipulato una polizza Europ Assistance per dire, perché ero ancora convinta di essere immortale e che niente mi sarebbe successo. In vacanza, poi.

Uan vacanza durante la quale, una sera che le amiche volevano tutte tornare presto, eravamo a Playa del Carmen, io sono uscita di nuovo da sola e sono andata a bermi una birra e fumare in spiaggia sotto a una palma e si è avvicinato un ragazzo e abbiamo chiacchierato per un po’ e alla fine mi ha detto che ero una chica de buena onda, e io me ne sono tornata a casa tutta felice e de buena onda mi sono sentita per almeno un anno. Curioso come quando siamo più giovani fiduciose e appetibili per potenziali stupratori non abbiamo la minima paura e ci rivolgiamo al mondo con fiducia e sorrisi, e quando invecchiamo iniziamo ad avere timore anche a prendere l’ascensore a mezzanotte.
Insomma durante questa vacanza di quasi tre settimane a girare il Messico e un pezzettino di Guatamala sui pullman messicani con le gabbie delle galline sistemate nelle retine portabagagli al posto delle valigie, e ogni volta che si passava un confine – Messico, Belize, Guatemala – a scendere, caricarsi lo zaino sulle spalle e passare i controlli di polizia a piedi e poi ricaricare lo zaino e ripartire per altre 6, 8 ore di autobus, in uno dei mille mercatini che abbiamo visitato, ho comprato questa coperta. Che è chiassosa, eccessiva, neppure bella, ma io l’ho portata indietro a Milano nel mio monolocale e l’ho buttata sopra al divano letto che era rosso e mi sembrava magnifica. E poi ha girato per non so quante case, è passata pure da Londra e a Genova e a Varazze ed è arrivata qui e non c’era un posto dove metterla – chiassosa, eccessiva, colorata – però non l’ho buttata via perché lo sapete come vanno queste cose, poi finisce che ti dispiace e ti porti dietro zavorre di scatoloni e ricordi che nemmeno vorresti.
Quindi oggi quando è uscita da una delle scatole sepolta in fondo all’armadio l’ho messa senza nemmeno pensarci sulla pila delle cose da buttare via. Space clearing. Cose di gioventù. Abbiamo poco spazio. Adieu.
Poi stasera a Segrate non so per quale motivo c’era un tramonto davvero bello e mia figlia che ha tre anni e mezzo ma ha già capito benissimo come intortarmi, in più è femmina il che aiuta ad avere una certa sensibilità di base, mi ha detto “Mamma, che bel tramonto, andiamo sul balcone e sediamoci per terra a guardarlo”, e per terra c’era sporco ché la Maria giustamente è tornata in Ucraina per le vacanze, così mi sono guardata in giro ed ecco, la mia coperta messicana, profumava ancora vagamente di sapone di marsiglia, l’ultimo lavaggio neutro se no si rovinano i colori. L’ho buttata per terra e ci siamo sedute lì a guardare il tramonto, sembrava quasi fossimo in spiaggia, e mia figlia che solitamente non sta ferma un secondo e ha la grazia di un camallo del porto mi si è  accoccolata in braccio e siamo state lì a guardare il cielo tutto rosa e striato e grigio e giallo.

E quidi in culo anche allo space clearing, pure a questo giro io la mia coperta messicana me la tengo.

3 thoughts on “Traslocando. La coperta messicana

  1. Belandi sei matta buttare via così una cuverta praticamente nuova usata pochissimo, mi sa che l’aria ti milano di fa male (da leggere con cadenza gabibbiana)

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