Più piove, più ho voglia di tornare a Genova


Nera di malasorte che ammazza e passa oltre nera come la sfortuna che si fa la tana dove non c’è luna
Nera di falde amare che passano le bare âtru da stramûâ â nu n’á â nu n’á
acqua che stringe i fianchi tonnara di passanti
âtru da camallâ â nu n’à â nu n’à

Io quando c’è stata l’alluvione del 70, quella che ha ispirato a De André la magnifica canzone qui sopra, che se mi trovo fra le mani la cretina che ha pensato di farne un nome d’arte (arte? Quale arte?) la disfo, non ero ancora nata. Per quello da bambina non capivo la nonna e la zia quando, annusando lo scirocco umido, in autunno, dicevano, oddio, c’è aria di alluvione. Aria di alluvione? L’aria può sapere di estate, di Natale, di zucchero filato, di refrescume, di sale, di buono o di cattivo, ma non di alluvione.

Poi a vent’anni ho inaugurato la mia carriera giornalistica a settembre, e poche settimane dopo la prima alluvione; un anno dopo, la seconda (che poi una dice, vedi a ignorare i segni del destino). E mi sono trovata giovanissima di anni e soprattutto di mestiere, stravolta, a parlare con gente che aveva perso tutto, a segnare nomi e cognomi e vie sul quadernetto, terrorizzata di dimenticarne qualcuno per l’articolo, a scavare nel fango a Voltri sotto il ronzio delle luci notturne, a portare le coperte al canile del Monte Gazzo, a spiegare, nell’agenzia di assicurazioni dei miei, all’ennesimo operaio dell’Italsider che no, la sua Panda portata via dal fiume non gliel’avrebbe ripagata nessuno, sa, la clausola eventi atmosferici, e vederlo andare via con le lacrime.

Mi ricordo di una mamma che vendeva il Folletto porta a porta, uscì da una casa sulle alture di Pegli dove aveva tentato di piazzarne uno e fu trascinata via, la trovarono in mare. Chissà poi se l’aveva venduto.
Mi ricordo di due vecchietti che vivevano vicino al greto del Varenna e quando sentirono arrivare la pioggia probabilmente si dissero, chiudiamo tutto e andiamocene a letto, e dopo un paio d’ore la piena trascinò via tutto, casa, letto e vecchietti.

Adesso sono qui a Milano che aspetto di vedere cosa succederà con la nuova ondata di piena del Bisagno, mando messaggi a mia madre e provo a sentire gli amici che come il tram di De André sono scollegati da ogni distanza, a cercarli su twitter  e guardo foto agghiaccianti e piango inutilmente per l’ennesimo sgarbo alla mia città. Soprattutto mi rendo conto di quanto fingo quando mi dico, chissenefrega, a Genova non ci tornerei mai più, la mia vita è a Milano, perché quando la vedo soffrire così manderei tutto a farsi fottere e tornerei a casa nel fango a volerle bene ancora, o almeno a provarci.

(La foto è tratta dal sito del Secolo XIX che sta facendo un’ottima copertura in tempo reale)

12 thoughts on “Più piove, più ho voglia di tornare a Genova

  1. Manca tanto a me Genova. Sto seguendo questa ennesima alluvione con il cuore stretto, contatto mia sorella bloccata al matitone che nn riesce a raggiungere Quarto. Vorrei tanto essere lì, solo x condividere il dolore della mia gente! Nel 70 ero già grande e ricordo bene. Un abbraccio.

  2. Leggo e piango.

    Come già ti dissi, mio papà è di Genova (Pegli).
    Io sono cresciuta in Piemonte, che è vicino ma per tante cose è un altro mondo, un mondo in cui pensare che mio nonno fosse marinaio diventa un pensiero strano e lontano anche per me. Mi dico sempre che se fossi cresciuta a Genova il mio nonno marinaio con le braccia completamente tatuate mi sarebbe sembrata una cosa più che normale, che magari ne avrei conosciuti altri, perché i miei amici avrebbero avuto dei nonni come il mio, e non sarebbe stata la cosa eccezionale che è per me. E’ terribile, orrendo, sapere che conosco meglio Torino (per quanto io ami anche lei, poveretta), che è la città dove ho fatto l’università, rispetto a quanto conosca Genova. Spesso mi chiedo come sarebbe stata, la mia vita, se fosse accaduta lì, e non qui. Vorrei tanto saperlo e non lo saprò mai.

    E’ terribile vedere la propria terra stare male, in momenti come questo, ed essere lontana, e avere anche meno diritto di piangere di chi in quella terra ci è cresciuto, perché tu “dopotutto di Genova hai solo il padre, mica sei di Genova pure tu”.
    Eppure Genova è anche la mia città, perché se non fosse per Genova non ci sarei nemmeno io. Quando ho letto Un cappello pieno di ciliegie della Fallaci, l’anno scorso, mi ha molto commossa tutto quel che lei dice sulle radici, perché è una cosa ovvia, scontata, a cui però non si pensa mai.

    Parla di genitori, nonni, bisnonni, trisnonni e quadrisavoli e dice una cosa commovente e molto giusta e molto vera: che noi siamo la somma di tutta la gente che c’è stata prima di noi, e che quelle persone così lontane negli anni sono in realtà, tutte quante, i nostri genitori, perché se anche uno solo di loro, uno soltanto, non ci fosse stato, noi ora non saremmo noi, ma saremmo una cosa diversa, con altri cromosomi, diversa anche di poco, ma diversa.

    E io, di quei “me” passati, ne ho tanti, a Genova.
    Quindi Genova è anche mia, e io sono (anche) di Genova.

    Piango una città che non ho scritta sulla carta d’identità, ma che ho dentro, al fondo di tutti i miei cromosomi, nell’esatto centro di tutti i miei cuori, e nella parte più profonda e felice di me.

    Ti abbraccio forte.

  3. Cioè: “dove ho fatto l’università“. Magari. Dove FACCIO l’università.
    Era un guizzo d’ottimismo scappato alla realtà. :-)

  4. oggi ho genova negli occhi e nel cuore. tornerà il sole. invio pensieri positivi e tanta luce.
    lucetta cuneo

  5. io nel 70 avevo cinque anni ma l’alluvione di allora mi è rimasta addosso per anni come un trauma, rivederla adesso è assurdo. con una storia identica, tranne che in qualche dettaglio, arrivo a conclusioni identiche, con la voglia di tornare

  6. Torniamo tutti, proviamo a fare qualcosa da casa, per una volta. Sarebbe bello smetterla di sentirsi fuori posto.

  7. Cara Blimunda, io in quel quartiere ci sono nata, cresciuta, e ci vivo tutt’oggi. E stamattina, passando per quelle vie, guardando i negozi violentati dall’ acqua, osservando la gente che incontro ogni giorno e che ora si ritrova senza niente mi è presa una grande tristezza…ma hai proprio ragione, bisogna provare a fare qualcosa, anche nel nostro piccolo, anche fosse solo un sorriso di incoraggiamento.
    Grazie per questo post…grazie anche per aver citato l’odore di refrescume che mi suscita un sorriso: penso a tutte le manie di mio marito in fatto alimentare….io finchè mi son sposata non avevo idea di cosa fosse e non sono sicura di averlo capito neanche adesso!

  8. mcomemamma, grazie a te. E quanto al refrescume, beh, c’è chi lo sente di più, chi di meno, ma spiegarlo a parole è impossibile!

  9. Ciao Barbara. Da quanto teo non ti leggevo… Torno e invece della mamma di quella bimba che non crede alla luna trovo te, in lacrime, e mi fai piangere. E sto piangendo. Tanto. Ti ho già detto che scrivi bene? Scrivi bene e sai dire le cose in un modo chiaro.
    Grazie.

  10. Tempo, era tempo. Odio il tastierino dell’iPad.

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