Ma dove sono i padri italiani?

La domanda viene spontanea dopo aver visto gli ultimi, sconfortanti dati sulle richieste di congedo per la paternità. Un fallimento quasi totale, con i pochi coraggiosi che lo chiedono guardati con sospetto e stupore dai loro datori di lavoro. O peggio, scherniti da addetti alle risorse umane assolutamente disinformati sull’esistenza di congedo e allattamento anche per i padri. Per dire, in tutta la Lombardia nel 2006 ne hanno usufruito solo in 180.
Dice, ma riducono lo stipendio del 70%. Ah, davvero? Come se alle madri in congedo lo versassero per intero, invece.
Nonostante i cosiddetti organi di informazione si prodighino per farci sapere che esiste una nuova razza di padri, pronti a dividere a metà gioie e dolori dell’essere genitori, nella realtà siamo sempre al punto di prima: il contributo maschile alla nascita non è oggi maggiore di quello di cento anni fa, ossia si limita all’atto procreativo. Certo, mio padre non sapeva cambiare i pannolini, né si è mai alzato una notte se piangevo. Ma francamente ci vuol altro che un pannolino o un biberon ogni tanto per dirsi partecipi.
Il problema è che ancora oggi lo stipendio pesante è quello dell’uomo, e rinunciarci è troppo difficile.
Il problema è che in Italia troppi padri si vergognerebbero di restare a casa con il figlio. A differenza di altri paesi europei, dove prendersi un lungo break dopo la nascita di un figlio è quasi normale e visto con simpatia: la tendenza Fatherhood 2.0, come l’ha definita Time. Da noi l’uomo per essere tale deve uscire, produrre, guadagnare. Pochi lo dicono apertamente, molti lo pensano: le attività di cura casalinga dei più deboli, siano cuccioli o anziani, sono cose da donne, punto.
Il problema è che il lavoro chiede sempre troppo, e come fai a dire di no a una riunione all’ultimo momento? Intanto c’è qualcuno a casa che ci pensa. E poi si sa che i bimbi piccoli hanno bisogno della mamma.
Il problema è che accudire un neonato è pesante. Spesso noioso. Ti taglia fuori dal mondo per settimane, mesi. Restituisce poco in cambio, almeno finché il bambino è così piccolo. Significa sacrificio e dedizione a tempo pieno e a fondo perso e in quello si sa, le donne sono così brave.
Il problema è che fra loro gli uomini non parlano. Non scambiano le esperienze. Una conversazione fra un neopapà e un amico senza figli sarà più o meno di questo tenore: “Congratulazioni, come va con il bimbo?” “Ah, bene, bene”. E così quando tocca a loro, non hanno la minima idea di ciò che comporti avere in casa un neonato da nutrire, cambiare, coccolare, accudire, calmare quando (spesso) piange. Si dicono pronti alla paternità senza saperne nulla, e sospettando che le lamentele di chi ci è passato prima siano esagerazioni.

Lo so: obietterete che ci sono padri differenti, che non si può generalizzare, che un amico di un vostro amico ha preso sei mesi per crescere il figlio, che una vostra amica è tornata in ufficio una settimana dopo il parto e quando il bambino aveva un mese già viaggiava per lavoro.
Siamo seri, però: per poter parlare di un’inversione di tendenza, contano i numeri.
E i numeri sono uguali a quelli di decenni fa.

18 thoughts on “Ma dove sono i padri italiani?

  1. Purtroppo il mio compagno non ha diritto al congedo perchè non è previsto dal suo tipo di contratto. Però ha deciso di prendersi due settimane di ferie, le uniche che ha a disposizione, per aiutarmi proprio nelle prime due settimane. Io non ho neanche la maternità, o meglio ci andrò ma da disoccupata. Non è sempre facile.

  2. Sono i padri che non li prendono o le madri italiane che non mollano i bambini manco a morire ai loro uomini?

  3. pippawilson: so che questa sollevata da te è una questione molto dibattuta. Io non credo alla madre-fagocitante che non molla il bambino, credo bensì al padre che appena può svicola. O meglio: credo che le situazioni con padre frustrato ed estromesso da madre iperansiosa o “gelosa” del figlio siano in nettissima minoranza, per tutti i motivi sopraelencati. Ma questo è solo il mio punto di vista, che deriva però anche da ciò che ho osservato in molte coppie di amici.

  4. Il fatto è che i congedi per maternità o paternità che si voglia sono diritti sempre più rari. E chi ne può usufruire, pur con tutte le decurtazioni dello stipendio, è ormai un privilegiato.

  5. pippawilson credo tu abbia ragione.. non sono mamma ma io credo non lo mollerei mai.. stupidi sensi di colpa femminili senza senso forse.. ma penso questo.

    ottimo tema Blim!

    Attendo il parere di Luca come sempre…

    ciao
    Cri

  6. ecco un padre:)
    è tutto vero ha ragio Bli, ha ragione Pippawilson, ma sono le situazioni che fanno le azioni..non tutti lavoriamo in un ministero o in una grande azienda dove si fai parte di un gruppo ma quasi sempre sei sostituibile, noi che lavoriamo per conto nostro…di congedo ne abbiamo sentito parlare solo alla fine del militare e oltre a non percepire nessun introito neppure il 70% di niente, la tua azienda andrebbe bellamente……. e chi invece lavora per una piccola ditta come potrebbe essere uno dei miei collaboratori sa bene che starsene a casa è un problema per lui, e per l’azienda.
    Ma io no avrei avuto nessuna remora a stare a casa se qualcuno avesse lavorato al mio posto, io il mammo l’avrei fatto senza nessun problema……detto questo però credo che Bli sul fatto che l’uomo mammo se ne vergogni mi trovi piuttosto d’accordo, ma per un fatto culturale…mica siamo norvegesi

  7. l’uomo mammo sbaglia a vergognarsi: mi sa che cuccherebbe alla grande ;-)

    (disclaimer: questa è una battuta. E’ UNA BATTUTA, CHIARO?)

  8. Ultimamente un’amica ha avuto un bambino. I genitori di lei stavano lontano. Dopo un mese lei ha deciso di trasferirsi da loro per farsi dare una mano (premetto che lei ha smesso di lavorare e può permettersi si assumere un aiuto quando ha bisogno, situazione quindi ideale per una neo-mamma). Risultato, il marito, se vuole, può vedere moglie e bambino la sera, dopo il lavoro, o nel weekend, facendosi più di 200 km. Motivazione ufficiale: i genitori di lei avevano aspettato tanto il nipotino che ora avevano diritto di goderselo, no? Quindi è più importante il rapporto bambino/nonni che quello bambino/padre. Oppure il padre è stato contento di liberarsi di loro e con loro di pianti notturni etc. Questo non lo so, so solo che nessuno ha trovato la situazione minimamente assurda, anzi.

  9. beh, io son lavoratore autonomo, però faccio anche il papà, ci dividiam i compiti, non perfettamente a mezzo ma non mi son mai tirato indietro dal cambiar pannolini, allattare (tutti e tre con l’artificiale, non per scelta ma per necessità), preparar pappe, e ora spadellando, caricando lavatrici, portando i bambini alle visite mediche e in piscina, facendo i letti.
    Certo hai ragione quando dici che siam un’esigua minoranza, e che parlar di bambini o della casa con amici (i pochi rimasti) è tabù, ma spesso mi dicon che son io la bestia rara.

  10. I compiti andrebbero divisi esattamente a metà, non dovrebbe esserci un genitore che fa più dell’altro… La donna dovrebbe badare alla casa quanto l’uomo. Tutto dovrebbe essere uguale per l’uomo e la donna. Perchè dovrebbe essere diverso? Per le strade di certi paesini italiani si sente ancora urlare “Donne, è arrivato l’arrotino!”. Donne?! Agghiacciante.

  11. Purtroppo non a tutti i contratti è applicabile.
    E c’è chi con il primo figlio si è fatta dai 5 giorni ai 5 mesi di età con il marito a 36 ore di volo perchè l’azienda per congratularsi gli ha organizzato questa simpatica e brevissima trasferta.
    Ora, come se non bastasse che lavora a 200km da casa che si ciuccia ogni mattina, ne hanno programmata una che va da marzo/aprile a settembre, distanza 1100 km. Niente congedo ma, attenzione attenzione, ben 20 e dico 20 euro in più al mese di assegni familiari.
    Ahhhh, i contratti di lavoro, che pacchia!

    (io, ovviamente, ora posso solo fare la casalinga e la maternità, siccome non ho finito la contribuzione obbligatoria, me l’han data in forma di supposte)

  12. BlackCat: ti capisco perfettamente. Io ho un compagno che sparisce dalle 7 del mattino alle 21 di sera, sono freelance e ho già ricominciato a lavorare: puoi mica dire di no al lavoro per più di un mese, eh? Oppure puoi, sì, ma dopo non aspettarti che ti richiamino. Poi vedo le dipendenti che si fanno un anno a casa con posto assicurato al rientro: sono felice per loro, ma forse dare un po’ meno a tutte sarebbe più corretto che dare troppo solo ad alcune.

  13. Conosco un padre, insegnante in una scuola superiore e architetto, che ha preso il congedo di paternità solo per poter lavorare di più nel suo studio. Quando doveva andare a recuperare la figlia maggiore all’asilo nido, chiedeva ai collaboratori in studio di ricordarglielo, magari mettendosi una sveglia sul telefonino. Lui spesso se ne dimenticava.
    La moglie, insegnante e architetto, alla seconda gravidanza, stava ufficialmente attraversando una gravidanza a rischio, ma, dopo avere passato l’estate in spiaggia a fare pubbliche relazioni, ha lavorato in Commissioni Edilizie e Consiglio Provinciale dell’Ordine degli Architetti, fino all’ultimo giorno, per non perdere la posizione di “potere e prestigio”, prima di partorire quasi per strada.
    Insomma, dipendenti statali poco o niente controllati, liberi di dedicarsi a tutt’altro, con la garanzia di trovare, al rientro, il consueto posto di lavoro.
    A tutti gli altri? Poco o niente. Qui si lavora in ogni condizione di salute, figuriamoci pensare ad una gravidanza! E poi dicono che i giovani di oggi sono mammoni e nn vogliono mettere su casa e famiglia!
    Ps: nn intendo generalizzare, non tutti i dipendenti statali sono così, per fortuna c’è anche tanta gente seria e onesta.

  14. Esiste senz’altro un problema culturale tutto italiano, ancora troppo “io Tarzan tu Jane”, però secondo me di passi avanti se ne stanno facendo. Aspettiamo a definire un fallimento il congedo di paternità, qualche anno fa non pensavamo nemmeno fosse possibile, no? Qualcosa cambia, lentamente, MOLTO lentamente, TROPPO lentamente, ma cambia…

  15. Non penso affatto che i padri che non approfittino dei congedi partenità siano solo italiani. Mi sono molto documentata sull’argomento e il libro che mi ha colpita di più è stato quello un’autrice americana, oggi freelance, ma prima della maternità invece reporter per il NY Times e candidata al Pulitzer, Ann Crittenden: “The Price of Motherhood. Why the most important job in the world is still the least valued” (dove per “prezzo” si intende proprio quello economico, ovvero dei contributi che non si mettono da parte, della pensione che non cresce, ecc. ecc da quando si è in congedo maternità). Ebbene la Crittenden, dati alla mano, dimostra come la riluttanza da parte degli uomini circa i congedi paternità siano un fenomeno trasversale che tocca tutto il pianeta. Anzi, aggiunge, se è dagli anni 1970 che le femministe insistono su questo punto e tuttora non si ottengono risultati rilevanti, ciò significa che bisogna cambiare strategia o cambiare obiettivi. L’articolo stesso citato da Blimunda, Fatherhood 2.0, parla di un notevole incremento di padri, ma siamo lontani, molto lontani da un’adesione di massa.
    Anch’io penso che se dopo 40 anni le cose ancora non cambiano (un grande bravo, comnunque a tutti i padri che invece hanno approfittato e che credono nell’equa distribuzione dei compiti!), bisogna cambiare o gli obiettivi o i parametri della ricerca.
    Penso anche che, dopo tutte le giustissime conquiste ottenute dal femminismo degli anni ’70, che si era impuntato sull’uguaglianza tra uomini e donne, ora si tratti di riconoscere che era importante ottenere la parità dei diritti, ma altrettanto riconoscere invece la diversità degli uni e degli altri, diversità che è complementare e che insieme diventa una forza gigantesca (corrente di pensiero di femminismo più recente, per esempio Nadia Fusini).
    Questo non piace a tutto il femminismo. la parte più radicale infatti, contesta: “come, allora essere una mamma a tempo pieno è bello? e noi che siamo fatte in quattro per dimostrare che non eravamo come gli uomini e che potevamo tornare subito a lavorare come loro e che anzi, loro potevano starsene a casa coi pupi?”. Questo tipo di femminismo suppone che il modello “giusto” da seguire sia quello maschile, ovvero che una donna è una ganza se è come un uomo e sa fare le cose come le sa fare un uomo. Le cose da “donna” sono un po’ di serie B, sono le parole fasciste del tipo “l’angelo del focolare”..
    Mi rendo conto che recuperare la maternità come cosa fichissima e che solo noi donne possiame fare, oltre che lavoare, significhi camminare per un sentiero insisdioso. D’altra parte, sono arrivata serenamente e fermamente alla conclusione che una donna deve avere obiettivi e modelli femminili, tutti ancora da scoprire e da trovare e che non voglio “abbassarmi” a dire che io devo essere come un’altro diverso da me (ci tengo a sottolineare che non voglio alcuna polemica con gli uomini, che adoro!, quanto a sottolineare davvero una differenza importante da mettere a fuoco).
    In conclusione: se noi per prime non siamo convinte che la maternità sia una figata allo stato puro, come possiamo pretendere che gli uomini ci saltino sopra gongolanti? Inoltre, il vero punto, a mio avviso, non è tanto quanto gli uomini aiutino (alla peggio subentrano colf, nonni, asili nido..) quanto di come noi donne lavoratrici, una volta diventate mamme riusciamo a gestirci tutte e due le cose, ovvero famiglia e lavoro, visto che su di noi comunque incombe di più (noi abbiamo avuto il pancione, gli ormoni, noi abbiamo le tette per allattare e un cervello stupendo per andare a lavorare).

  16. Sono d’accordo con Aranel.
    E’ vero che siamo ancora piuttosto indietro da questo punto di vista per le ragioni già dette:
    1. siamo cresciuti pensando che il modello di famiglia universalmente giusto fosse mamma massaia e padre lavoratore,
    2. l’incapacita delle madri di “delegare” le responabilità verso i bambini non aiuta certo ad attualizzare quel modello ormai obsoleto,
    3. essendo quella dei congedi parentali per i papà, purtroppo, una “scoperta” ancora recente, la diffusa disinformazione ci impedisce di sfruttare le opportunità del caso.

    Ma per lo meno ne stiamo parlando. E quel misero 18% di congedi parentali in Italia è stato richiesto da padri. Voglio dire, è vero che sono solo 18 gli uomini su 100 persone che chiedono i congedi. Ma sono pur sempre 18! E se continuiamo a parlarne chissà che si creerà un pò di cultura della paternità anche dalle nostre parti.

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