A Milano, i giornalisti e il sociale

logoArrivo da due intense giornate di seminario organizzato da Redattore Sociale, il primo a Milano, con la collaborazione di Terre di Mezzo e la partecipazione di Affaritaliani.it (il prossimo appuntamento è con quello, storico, di Capodarco di Fermo a dicembre).

Il tema: come riuscire a fare informazione sociale in una città “crudele” come Milano.

Come lo scorso anno, dopo l’esperienza nelle Marche, mi sento da una parte rivitalizzata, felice di svolgere questa professione, rinforzata dall’incontro con tanti colleghi che stimo. Dall’altra sono perplessa. Siamo sempre a raccontarci le stesse cose, storie di abusivismo e precariato, e allora come riuscire a fare una vera informazione su temi sociali e di solidarietà quando il primo problema è bussare a cento porte per vendere un pezzo? E poi ridursi a scrivere quello che ti chiedono, quello che “va”, nella speranza di salire un gradino ed entrare nella fascia alta dei morti di fame? (Figurarsi se non lo so io che scrivo solitamente per i femminili, dove il sociale spesso è un colonnino che passa solo se c’è un’iniziativa benefica appoggiata da un Vip).

Questo per non parlare di altri temi emersi in questa due giorni, che letti tutti di fila fanno venire voglia di andare a insaponare la corda: ingerenza pressante della pubblicità, poco coraggio da parte degli editori, servizi fotografici svalutati o comprati a scatola chiusa, notizie “di moda” pompate per cavalcare campagne di odio xenofobo e così via.

Però, oltre al valore delle discussioni, a me personalmente è servito anche per comprendere meglio Milano, una città dove vivo a intermittenza da 8 anni, popolata di gente che, come me, “si sente in transito e non la ama”, come ha detto qualcuno ieri.

Se vi interessa il pacchetto completo, qui c’è il resto.

4 thoughts on “A Milano, i giornalisti e il sociale

  1. Argomento interessante. Ho spesso avuto contatti con la stampa per motivi diversi e non sempre il rapporto è stato lineare. Inutile dire che l’impellenza di pubblicare “per mangiare” mina sul nascere anche le migliori intenzioni. Non deve essere facile optare per la storia Albano/Lecciso piuttosto che per quella di Welbi. ;-)***

  2. Proprio così. Non hai idea di quanti giovani giornalisti raccontavano porprio quello: lo scontro quotidiano con capi che cercano la spettacolarizzazione (anche e soprattutto nel sociale) e la la loro volontà di narrare una vera storia. Meno male che ci sono i blog ;-))

  3. Ecco che divento triste. Perché vorrei acnora appasionarmi a questi dibattiti, vorrei acnora crederci, vorrei ancora aver voglia (che bel bisticcio) di fare questo lavoro. E invece. E invece continuo a farlo, insieme ad altri mille che mi capitano (ultimo la prof) perché i soldi servono, perché un lavoro non mi basta mantenere lo stile di vita che ho avuto fino a poco tempo fa come figlia di papà (non famoso, non ricco, ma generoso come un buon papà).

    Divento triste perché vorrei ritrovare entusiasmo e passione in qualcosa: nel lavoro, nello sport, nell’amore, nei viaggi o nella musica. Invece mi sento un po’ un’ameba demotivata…

    serpe premestruale e meteropatica

  4. serpe, nessuno ti capisce più di me, in qualunque momento del ciclo. Durante questi dibattiti avrei voluto alzarmi a urlare: “E il precariato? E i 6 euro ad articolo? E le redazioni tenute insieme dai collaboratori sottopagati?” Però sonop stati due giorni intensi e interessanti. E allora mi dico, è già qualcosa.

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