“Ciao direttore, hai visto la notizia su internet?”
“Certo, e ti ho già mandato una mail!”
“Ma sei già in ufficio?”
“No! Sono in barca!”
“Lavori dalla barca, beato te…”
Questa è un’illuminante pubblicità che si sente molto alla radio ultimamente. Il brand è quello di un operatore telefonico, ma non è importante. Importante è il modo in cui la categoria dei giornalisti è vista dai pubblicitari e forse anche da parte dei lettori. Un gruppo di simpatici cazzari che si danno tutti del tu (pure al direttore!) in nome di una finta democrazia; gente che utilizza alla grande le cosiddette “nuove tecnologie”, anche se ormai tanto nuove non sono, per essere sempre sul pezzo e contemporaneamente veleggiare tra Cannes e Antibes.
La realtà , e chi è stato o è in redazione lo sa, è ben diversa. Io parlo per esperienza diretta dei periodici, ma ho testimonianze indirette che nei quotidiani (e, peggio perché non te lo aspetteresti, nei quotidiani online) la situazione non è molto diversa.
Dunque, quando è deciso il tema dell’articolo, per le ricerche esiste un apposito ufficio preposto che stipendia tot persone e, dietro richiesta, trova tutti gli articoli usciti sull’argomento; li fotocopia; li raccoglie in una cartelletta di cartone e li consegna sulla scrivania (lo raccontavo qualche giorno fa ai ragazzi del Corso in Comunicazione e promozione editoriale online e dire che hanno sgranato gli occhi è stato il minimo). Altre fonti privilegiate sono il saccheggio bieco di articoli su periodici stranieri (tanto l’italiano medio, si sa, non conosce le lingue e non legge in lingua originale) e il rimpasto di articoli già usciti su altri periodici (italiani) ma con “un taglio diverso”.
E’ facile capire che lo spazio lasciato all’iniziativa personale, all’originalità , è piuttosto poco.
Dissolvenza
Durante l’ultimo weekend a Londra ho acquistato, come sempre, decine di settimanali e mensili UK e US, e li sto leggendo in questi giorni. Ho fra le mani Vanity Fair US e ora: io sarò anche un’irrimediabile esterofila, in più amo internet, penso che la carta stampata, per come la concepiamo oggi, abbia se non i mesi gli anni contati. Però: articoli di ampio respiro, documentati, scritti in modo eccellente; mai una ripetizione, mai una sciatteria, mai un luogo comune o una frase fatta. Un bellissimo racconto del miracoloso ammaraggio nell’Hudson che parte dal punto di vista delle oche sfracellate nelle turbine dei motori, per arrivare alla figura insieme quotidiana ed eroica del comandante Sullenberger, che portò a casa la pelle sua e di circa 300 passeggeri. Un memoriale della segretaria di Madoff, grazie al quale ho finalmente capito i dettagli della truffa. Un’intervista asciutta e ficcante a Jessica Simpson, così lontana dal chiacchiericcio finto glamour dei nostri magazine. Insomma, basta: sanno scrivere, scrivono bene, sanno documentarsi e scegliere il taglio, hanno direttori che non si spaventano a commissionare un pezzo da 30.000 battute, forse perché non partono dal presupposto di avere lettori con l’attention span di un pesce rosso, che se non cucini il pezzo breve e con tante figure, non leggono.
Con questo non voglio dire che il giornalismo cartaceo anglosassone non risenta della crisi (anzi!); forse solo che rispetto a noi hanno un rigore e una professionalità diversi, che li renderanno più flessibili, più pronti durante la transizione all’online.
Infine, a questo punto non so se sia più una questione di mezzo o di qualità ; dateceli online, dateceli su carta, ma le notizie, i racconti, le interviste, dateceli di qualità e li leggeremo. E continueremo a pagare per farlo.
(Tutto questo anche a margine delle riflessioni sull’argomento fatte da Marco).
Appunto. Sanno scrivere. E secondo me è impensabile fare del buon giornalismo senza saper scrivere ed esprimersi correttamente e con stile, uno stile personale e riconoscibile. Poi, e come hai visto ne parlavo da Marco Mazzei l’altro giorno, è anche questione di pigrizia fisica e mentale; informarsi seriamente è una fatica, così come scrivere in modo chiaro ma approfondito. Come freelance non ho mai lavorato fissa in redazione, al massimo ci vado se devo fare 17mila telefonate per inchieste o incontrare qualcuno da intervistare o per riunioni coordinanti varie firme su uno stesso argomento. Sarò stata fortunata, ma nessun direttore/caporedattore, affidandomi un pezzo mi ha mai detto “cerca qualcosa” nel senso di scopiazza e/o traduci. Credo che mi offenderei a morte ;-). Occupandomi soprattutto di cose storiche e di “usi e costumi” faccio ovviamente ricerche serie e approfondite per cercare nomi, date, termini precisi ed esatti. Ma il lavoro di costruzione, spiegazione, illustrazione, interpretazione e “narrazione” è solo farina del mio sacco. Riguardo invece ai lettori dotati dell’attention span di un pesce rosso (è fantastica! ;-D), comincio a temere che l’ADHD non imperversi solo fra i ragazzi in età di scuola dell’obbligo, ma anche fra i moltissimi adulti italiani che oggi, dopo aver letto un articolo cartaceo di 4000 battute, sono esausti. Divenuti pigri anche loro, si son già disabituati a concentrarsi a lungo. E lì sì bisognerebbe intervenire prima che l’umanità si trasformi in un acquario…;-*
ommamma Mitì!! ma che commento lungo!! :-))
seriamente, sono con voi in tutto e per tutto, non so di chi sia la colpa, ma i giornalisti italiani fanno mediamente pena :-(
JillL, 1525 battute, argh! ;-D
Non tutti fanno pena, ce ne sono di bravissimi anche fra i giovani. Solo che non so se riusciranno mai ad “esprimersi” come saprebbero fare, soffocati come sono dagli altri, parigrado, capi o lettori viziati…
D’accordo anch’io. Soprattutto sulla scopiazzatura brutale da altri giornali: mi capita di leggere sul Corriere o alti nostri giornali (online) articoli che io ho già letto tempo prima su giornali stranieri, tradotti pari pari. Mah!
Per non parlare della superficialità di certe notizie (ricordo l’epidemia di Dengue a Cuba, sempre sul Corriere) o degli strafalcioni.
Bah.
Mi viene da piangere e stante che sono in un momento di profonda riflessione sul senso del mio lavoro (quello di cui sopra) mi viene da piangere anche di più. Con un piccolo distinguo, nel locale (cioè in provincia che come diceva Guccini è “grazia”, ma anche “tedio a morte” e approssimazione, cialtroni, raccomandati, capiscioni…) è anche peggio.
Qualche esempio:
– ad una mia amica, ottima “nerista”, non è stato rinnovato il contratto, per far posto ad un tizio (ammanigliato bene dal lato paterno) il quale scrive come potrebbe farlo un bambino di quinta elementare.
– la titolare dell’ufficio stampa di una associazione di categoria (importante) è semi analfabeta, manda dei comunicati che, non dico a metterli a posto, ma anche solo trovare il senso o una notizia, ci vogliono due ore. Eppure sta lì con stipendio ottimo e tutti zitti.
Quindi, almeno nelle Marche, per fare questo lavoro non è necessario saper scrivere!
Sigh! Comunque grazie per la riflessione.
Illuminante.
Maina: il mondo è pieno di gente che fa un certo lavoro per una botta di fortuna o per conoscenze.
Potrei parlarti di insegnanti di inglese che non sanno il significato di parole semplici come “curse”, o di maestre di scuola che scrivono una nota “Giorgio non a fatto i compiti ha casa” (successo giorni fa), o di informatici che non sanno programmare, o di traduttori che scrivono da cani e traducono male ma sono lì lo stesso, eccetera.
La faccia tosta vale più della bravura.
Concordo con quanto detto da tutti sopra; per carità, il giornalismo italiano è alla canna del gas (e comunque, da quel che ne so, non ha neanche mai avuto la “fibra” di quello anglosassone).
Ma a parte questo, che ho detto e sottoscritto ovunque e più volte, voglio fare per una volta l’amico del giaguaro: “O voi (che fate altri mestieri) e che continuate a dire che i giornalisti sono incompetenti, raccomandati, fanno errori…E’ vero, ma non più di chiunque altro, in qualunque altro mestiere. I nostri errori sono solo più visibili. Esistono medici incompetenti (il che è anche più grave), docenti univerisitari raccomandati (sob…), quanto a errori e distazioni, poi…si fa prima a dire chi non li fa. La verità è che siamo una categoria professionale che “sta sul culo”, forse in memoria di antichi privilegi, ormai in via di estinzione, o di un potere, che in realtà è in mano solo di una stretta oligarchia. Il giornalismo come pratica, può essere discusso e contestato, ma i giornalisti, poveri cristi, fanno quello che possono…(e generalmente possono poco)
RossaNaturale, posso una precisazione? Credo che alcuni giornalisti facciano davvero quello che possono, ma altri purtroppo fanno soprattutto quello che gli viene comodo, utile, facile…
Sul poter poco, ecco io che faccio tutti i santissimi giorni la cronaca locale di un giornale locale si è vero posso pochissimo, ma il mio capo che “governa” otto pagine dedicate al capoluogo della regione, può, eccome se può. Può decidere se e come dare una notizia, può stabilire che se uno gli sta sulle palle questo uno sul giornale non uscirà per sei mesi.
Concordo con te che siamo una categoria professionale che “sta un po’ in cima” appunto per i privilegi del passato (di cui godono però ancora oggi i fortunati con contratto), siamo disprezzati ma ricercatissimi quando c’è bisogno (“che mi metti il comunicato?”, “che mi pubblichi la replica al tale?”), ma siamo anche il capro espiatorio di ogni cosa. Tipo: il sindaco dice una corbelleria “eh ma sono i giornalisti che non hanno capito”, un noto ginecologo telefona all’aeroporto per avvisare che c’è una bomba (finta) sull’aereo che sta per prendere la sua amante (la quale così non può partire), si scatena un putiferio, ma… un signore mi incontra e mi dice “è tutta colpa vostra”. Nostra?!?!?!
Potrei andare avanti per ore, ma non voglio approfittare della gentile ospitalità di Blimunda.
Non è il mio mestiere, ma siccome ogni giorno c’è qualcuno che vuole insegnarmi il mio ti dirò che
c’è un quotidiano delle mie parti, che il massimo articolo su internet e le nuove tecnologie , è citare il gran successo del gruppo facebook “i piccioni vogliono conquistare il mondo “
Rossa: sono d’accordo su ciò che dici, ma io non parlavo di errori più o meno additati al pubblico ludibrio, quanto di attitudine obsoleta, clientelare, irrispettosa del lettore, che è il vero grande errore alla base di tutto.
Luca: mi sa che ci ho scritto, tanti anni fa, su quel quotidiano “delle tue parti”.