Istanbul: Sultanahmet

moschea blu

Di ritorno da dieci giorni in Turchia, un lungo weekend a Istanbul e una settimana di mare al sud, vicino ad Antalya.
Iniziamo da Istanbul, città che mi incuriosiva da anni e che finalmente ho avuto l’occasione di visitare.
Prime impressioni: il turco è una lingua totalmente incomprensibile. Per quanto mi sia sforzata sul dizionarietto da viaggio, non sono riuscita a ricordare più che evett (sì). I Turchi, se fosse possibile, per quanto riguarda l’inglese sono messi peggio di noi, anche chi si occupa di turismo. Comprendersi è spesso un esercizio estenuante.
Occhio ai tassisti:
lo so che succede un po’ ovunque, tutto il mondo è paese eccetera, ma qui il giochino della manomissione del tassametro quando non guardi è la regola. Occhio fisso all’importo sul display, mai distrarsi.
Il kebab è, ovviamente, buonissimo. Altri piatti sono davvero molto, molto speziati: de gustibus. Il te, servito in deliziosi bicchierini di vetro ad anfora, è eccellente.
Sorpresa: anche a Istanbul sono arrivate le mucche della cow parade, che con lo sfondo dei minareti facevano proprio una splendida figura.
Sorpresa molto gradita: Istanbul straripa di gatti che immagino siano trattati bene o quantomeno tollerati, visto che non hanno nessuna paura e si fanno avvicinare senza problemi. Suppongo che la devozione del profeta Maometto per il suo gatto Muezza c’entri qualcosa, e ne sono molto felice. A questo proposito cito la battuta fulminante del cameriere del Mesala, ristorante di Sultanahmet dove i felini giravano indisturbati (qualcuno dormiva pure sui bellissimi cuscini o sui tappeti tessuti a mano):

Io: Oh I see you have a lot of cats!
Lui: We don’t have them, they have us.

Che mi sembra più definitiva, sul rapporto gatto-uomo di un saggio di mille pagine del peraltro ottimo gattologo Giorgio Celli.

Allora la città è bella, particolare, curiosa, interessante, ovviamente straripante di storia, sicuramente disomogenea, con scorci splendide e quartieri periferici inguardabili o stradine che portano al mare ricolme di rumenta, che i nostri caruggi in confronto sono bentenuti.
Noi alloggiavamo nel quartiere storico di Sultanahmet, a due passi dalla splendida Moschea Blu e da Aya Sofya. Una zona di viottoli acciottolati in salita, bazar e negozi, monumenti storici, deliziosa da percorrere tutta a piedi. Unico svantaggio: il minareto della moschea era praticamente nella nostra camera e il muezzin urlava la sua prima preghiera verso il cielo, aiutato da potentissimi altoparlanti, alle 5 del mattino. La Moschea Blu è stata in ogni caso uno dei monumenti più belli che ho visto, davvero imponente, con sei minareti (uno solo in meno di quella della Mecca) e all’interno un gioco di cupole incastonate una dentro l’altra.
L’altra perla è la Cisterna Basilica (Yerebatan Sarnici), voluta da Costantino e ricostruita da Giustiniano, a due passi da Aya Sofya. Una cisterna d’acqua sotterranea, silenziosa e fresca, punteggiata da mille colonne. Una di queste ha un buco e infilandoci un pollice e ruotando la mano si può esprimere un desiderio. Fatto.
Aya Sofya, che noi italiani cattocentrici chiamiamo Santa Sofia, in realtà non fu mai consacrata a nessun santo ma a sophia, la saggezza, il che direi è un’ottima lezione contro tutti i fondamentalismi religiosi. Oggi è un museo (le cui condizioni purtroppo necessiterebbero di molta manutenzione) e anche qui c’è una colonna bucata dei desideri. Interessanti le scritte arabe, su enormi dischi di pelle di cammello, che in origine coprirono le croci cristiane quando la chiesa fu trasformata in moschea e i bellissimi mosaici che non avrebbero nulla da invidiare a quelli di Ravenna, purtroppo in molti punti ricoperti da mani e mani di vernice.
Infine, lo avevo letto su molte guide, ma l’ho verificato con i miei occhi; la deriva religiosa della Turchia, storicamente uno dei paesi più laici dell’Islam, è notevole. Moltissime le ragazze poco più che ventenni velate dalla testa ai piedi (a 37 gradi…) con accanto, spesso, fidanzati o mariti vestiti all’occidentale, jeans o bermuda, polo e t-shirt.

A seguire con il Gran Bazar (200.000 metri quadrati di shopping, vi rendete conto?), il Topkapi e il ponte sul Bosforo.

11 thoughts on “Istanbul: Sultanahmet

  1. Dunque, se ricordo bene, nel 2007 hai pucciato i piedini in mari di 4 diversi continenti:

    – America (Honduras)
    – Africa (Canarie, anche se appartengono alla Spagna)
    – Europa (Liguria)
    – Asia (Turchia).

    Immagino tu stia preparando il Grande Slam con un viaggio in Australia per l’autunno?

  2. Luca: il GP mi fa sbadigliare non dico a guardarlo in Tv ma anche solo a sentirne il rumore dall’altra stanza…
    christian: ci mancherebbe..!
    Gomena: seeee, magari!

  3. vabbè ma almeno dicci se è vero che fumano come dei turchi……

  4. Princy: domani seconda puntata!
    luca: e come no? Sigarette, narghilé, pipa, tutto quello che trovano ;-)

  5. Il mio sogno è andare avisitare Istanbul e la Turchia in genere. Per ora ho visto solo Bodrum (ci sono andata dall’isola greca di Kos) ma non è che un piccolissimo antipasto. le tue foto sono bellissime!!!!

  6. phoebe: io ho visto poco, giusto Istanbul e un po’ le coste del sud, e Izmir in un altro viaggio. Però merita, magari per un’altra volta. Mi dicono meraviglie della Cappadocia, ad esempio.

  7. OK, anch’io viaggio ma solo una canonica volta l’anno….Per viaggiare così tanto …Quanti soldi avete? lavorate o siete ricchi di famiglia?….VI INVIDIO…

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