Marco Palombi di Splinder me l’ha presentata alla Splinder Night così: “diventerà una stella”. E se lo dice lui che di blogger se ne intende c’è da crederci. Per cui sono andata subito a curiosare tra le pagine di Dania, trovando davvero divertenti le sue “inchieste sul precariato” e soprattutto i suoi video.
Mi sono trovata a riflettere però su come il precariato, soprattutto nel mondo del giornalismo/informazione/media non sia (solo) un problema della giovani generazioni ma sia la norma ad ogni età .
In pratica se vuoi scrivere, lavorare come giornalista, hai due scelte: o entri in redazione per grazia ricevuta, se non hai il cognome giusto dopo anni di umiliazioni, sostituzioni, lavoro in nero, e diventi nella maggioranza dei casi un deskista che trascorre le giornate a passare pezzi altrui e a scervellarsi sul sinonimo da trovare per non ripetere due volte la parola “unghie”, ovviamente in un pezzo sulla manicure, o per evitare quella frase particolarmente invisa al direttore (scordati il tuo stile, se pensi di averne uno: devi uniformarti ai gusti personali di chi sta sopra di te).
Oppure ne resti fuori.
E diventi una delle tante falene attratte dal chiarore, che gravitano nel cono di luce di una redazione o di un editore attendendo la chiamata, dall’oggi al domani, per scrivere un pezzo (altro che sciopero dei giornalisti: se si fermasse l’esercito sommerso dei collaboratori allora sì che non uscirebbero più giornali, garantito).
Il fatto è che il lavoro illegale, sottopagato, sfruttato, in questo campo è talmente comune che tutti si sentono liberi di offriti collaborazioni oscure e ambigue anche se, come nel mio caso, lavori nell’ambiente da anni e non ne hai alcun bisogno. Cioè ti fanno offerte che non hanno niente da invidiare agli stage gratuiti prorogabili di sei mesi in sei mesi e poi si vedrà . Tipo questa, arrivata qualche settimana fa:
“Senti ciao ho un progetto e pensavo a te, sei libera?”
“Mah, dipende, di cosa si tratta’”
“Forse prendo un appalto, per fare una ventina di pagine come service esterno, per un periodico nuovo che uscirà tra poco”
“Che periodico e che editore?”
“Ah non te lo posso dire ancora. Ci sarebbe da fare due o tre numeri zero, insomma tre mesi di lavoro duro a testa bassa, e poi vediamo se ce lo prendono. Mi serviresti per coordinare il tutto, è una cosa grandiosa, accetti?”
“Ma, scusa, in che veste? Mi assumi, collaboro, che dovrei fare?”
“Ah no fino all’approvazione si lavora gratis sai com’è finché non c’è la sicurezza”
“Certo, finché non c’è la sicurezza. Va bene ci penso eh? Ci sentiamo, eh?”.
Poi mi dicono che scoraggio la gente che mi chiede come fare a diventare giornalista. Fate voi.
Per non parlare del nanopublishing. Lì ci vorrebbe un’enciclopedia, non un post. Magari un’altra volta.
Hai ragionissimo.
Se si fermano i collaboratori i giornali non escono più.
Conosco decine di giornalisti lavoratori assunti in diverse redazioni che non firmano neanche un pezzo. Loro coordinano. Al massimo titolano.
Ci vorrebbe un sindacato dei collaboratori giornalistici.
Tillo
E quelli che ti contattano e ti chiedono se gli fai qualche proposta, cosi’ poi la valutano e ti chiamano?.
Tu ci caschi la prima volta, poi ti accorgi che le proposte che fai le girano ad altri e allora ti organizzi e li mandi al diavolo.
La cosa piu’ brutta in tutto questo e’ il silenzio degli organismi che dovrebbero tutelarci e che invece se ne fregano e anzi ci sparano numeri e cifre nella speranza che l’unione faccia la forza…
Veru
Infatti…a parte il Barbiere della Sera, nessuno ne parla. E per quanto mi ricordo nei quotidiani è peggio, sia per i pagamenti che per lo sfruttamento.