Una storia banale di Twitter, Storify ed economia del dono

Ora vi racconto una storia banale, o forse no, ché anche se da tempo non incontro più i miei amici di Genova, quelli che mi fanno fare il bagno di realtà perché non sono su Facebook, non conoscono Twitter, fanno lo stesso lavoro da quando hanno lasciato l’università, si telefonano spesso e s’incontrano di persona (farlo davanti al mare aiuta, evidentemente), mi sono resa conto che tante cose date per scontate da noi che viviamo nelle bolla dei social media e siamo (anche per questo) allegramente sociopatici, per il resto del mondo scontate non sono.

Sabato c’era Nathan Jurgenson in Triennale, presentato da Serena Danna per il Festival di Rivista Studio. Un incontro importante per tutti noi dei social media eccetera, vedi sopra. Un incontro al quale non ho potuto partecipare perché la cinquenne aveva la febbre (archivia sotto: fatti miei che non fregano niente a nessuno ma ‘Social media is social first, media second’, per cui beccatevi ogni tanto anche la notazione personale).
Quindi che ho fatto, dopo essermi disperata?
Ho lanciato un appello su Twitter, sapendo che in prima fila c’erano molti amici e colleghi che avrebbero potuto fare un eccellente livetwitting.

Anzi, no, facciamo un passo indietro; prima di lanciare l’appello, avevo speso del tempo a costruirmi su Twitter un network di fonti affidabili e rilevanti per me. Così, quando ne ho avuto bisogno (ieri, ad esempio, ma non solo) il network era già lì, pronto ad aiutarmi.
No, non funziona entrare su Twitter una volta al mese, non condividere nulla, chiedere solo aiuto quando se ne ha bisogno e poi lamentarsi perché ‘Twitter non serve a niente’. Funzionerebbe un rapporto del genere in quella che chiamate ‘la vita reale’? Non credo. Credo vi manderebbero a spigolare, come dice mia mamma quando non vuole usare brutte parole. Ecco, non funziona neppure in quella che vi ostinate a chiamare ‘la vita virtuale’, non accorgendovi che è la stessa di vita. Una ne abbiamo, purtroppo, che siamo online o offline, che balliamo il tango, leggiamo un libro, impariamo il cinese, twittiamo o andiamo al ristorante. Una.
Quindi ricordandomi che ‘Se pensate che su Twitter ci sia solo fuffa, state seguendo le persone sbagliate’, perdonate l’autocit., iniziamo dal primo punto:

1. Ho costruito, nel tempo, un network di fonti affidabili e rilevanti, che a loro volta, non sempre ma spesso, mi trovano altrettanto affidabile e rilevante

Lanciato il mio appello disperato a chi era presente all’incontro, ho iniziato a seguire lo speech di Jurgenson esattamente come se fossi lì (certo, il fatto di avere tra i miei following un parterre di tweeps d’eccezione aiuta: tornate al punto 1 se come ci sono arrivata non è chiaro).

2. Se avete costruito bene il vostro network, il vostro network diventa una risorsa eccezionale

Fine? No, la mia storia banale prosegue. Siccome la quantità e qualità dei tweet che arrivavano erano eccellenti, ho pensato che potessero interessare anche ad altri che, come me, per mille motivi non erano in Triennale.
Stavo ricevendo un regalo – il tempo, l’attenzione, la cura delle persone che invece di godersi l’interessantissimo speech di Jurgenson lo stavano anche condividendo, suddiviso in perle da 140 caratteri – e ho pensato di ricambiarlo. Sai, l’economia del dono e tutte quelle cose lì.
Ho aperto uno Storify e praticamente in tempo reale ho iniziato a fare content curation dei contributi – molto content e poca curation perché, data la qualità come ho già detto, il mio intervento è stato davvero limitato. Alla fine dello speech lo Storify era già pronto – lo trovate qui – da condividere su Twitter.

3. Restituite parte del tempo che gli altri vi regalano in rete per donare qualcosa a vostra volta – uno Storify, una lista su twitter, una risorsa, una risposta, una menzione – anche per avere dei crediti da spendere quando vi serve un aiuto o un contributo.

Molti hanno letto, condiviso, ringraziato. Io ho potuto seguire un incontro estremamente interessante che, data l’assenza di streaming, avrei perso. Ho uno Storify come memo delle frasi più significative. Infine, ho avuto la grande soddisfazione di vedermi citata pure da Jurgenson:

Fine della mia storia banale.

5 thoughts on “Una storia banale di Twitter, Storify ed economia del dono

  1. Beh, ma non è così anche per qualsiasi altro SN? Io sto facendo un po’ di esperimenti e c’è poco da fare, se ‘comunichi’ e ‘ascolti’ invece di ‘parlare’ e ‘sentire’ ottieni attenzione. Non basta segnalare un link interessante, devi anche spiegare perché a te ha colpito quel contenuto.
    Concordo che la vita è solo una, anche per noi che giriamo nella boccia della Rete :)

  2. Sará banale ma è bellissima. Dovrei farla leggere ai miei amici non twitter. La cosa che trovo incredibile è che tu venga ringraziata da Jurgenson per lo storify … e non c’eri!!

  3. Carlotta, sì, vale per qualunque medium basato sull’interazione e la comunicazione a due vie. Parlo di twitter perché uso molto di più twitter e perché per raccontare un veneto in corso di svolgimento come in questo caso è lo strumento da scegliere
    Samuele quella è la cosa più bella, diciamo che è la morale :)

  4. Carissima!
    Che bella realtà è questa che hai deciso di condividere!
    Mi sembra un’ ottima sollecitazione per tutti noi a fare un uso intelligente dei mezzi che abbiamo a disposizione.
    Tienimi informata…

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