Paola Caruso, il precariato, le reazioni di pancia

C’è una ricerca dell’University of Pennsylvania Social Transmission, Emotion, and the Virality of Online Content, non recentissima (2009) ma molto interessante, che dimostra come un articolo venga condiviso online molto più facilmente se ha un contenuto emozionale. E lo fa analizzando circa 7.500 articoli del New York Times. Ora, se giocarsi la carta della “pancia” funziona per il New York Times, potete immaginarvi cosa possa succedere su un social network, dove gli umori ribollono e la gente c’è solitamente per un solo obbiettivo: to voice their opinion.
E’ l’unica spiegazione che riesco a darmi per l’incredibile polverone suscitato dalla vicenda di Paola Caruso, tra ieri e oggi. Perché, fuori da ogni giudizio e con tutta l’umana comprensione per una persona che non conosco ma che sta lottando per il lavoro, altrimenti non me lo spiego.
Non mi spiego come  centinaia di persone abbiano istantaneamente, furiosamente, all’unisono, sposato una causa senza avere dettagli in merito e accettando poche righe di spiegazione che arrivano da una sola parte.
Si parla di “assunzione” di un’altra persona al posto di Paola Caruso, quando il Corriere è in stato di crisi e non può assumere nessuno. La persona viene definita dalla stessa Caruso “un pivello proveniente dalle scuole di giornalismo” e “un raccomandato” (EDIT: Paola dice di non aver mai scritto raccomandato, io ero certa di averlo letto ma evidentemente era in qualche commento, non nei suoi post, per cui diciamo: “che molti dei suoi sostenitori sostengono essere un raccomandato”). Sempre per completezza dell’informazione, sarebbe interessante ascoltare anche la sua, di opinione, visto il casino in cui è stato tirato dentro.
Poi. Non si capisce come a Paola Caruso sia stato rinnovato un  co.co.co. per 7 anni quando, lo ricordo dai miei anni in Mondadori, dopo il secondo rinnovo già c’erano i presupposti per una causa di lavoro. Sempre per citare Mondadori (e parlare, quindi, di cose che conosco), ci sono persone assunte grazie all’intervento del giudice del lavoro per molto meno. E dov’era il Cdr? Cos’è accaduto in questo caso? Davvero lo sciopero della sete (poi rientrato) e della fame era l’unica chance per ottenere una risposta? Io vorrei davvero capire, ma non ho gli elementi per farlo. Chi ha assicurato l’endorsement a Paola come un sol uomo, invece, pare avere capito tutto, sapere tutto, non è sfiorato dal minimo dubbio. A me questo fa paura. Fa paura questa certezza granitica che anima i social network di avere sempre e comunque la risposta giusta. Perché me l’ha detto lei. Perché è una mia amica. Perché le aziende sono tutte bastarde. Perché se non sei raccomandato non vai da nessuna parte. Perché le conventicole.
Nella situazione italiana e nella fattispecie in quella del giornalismo della carta stampata, che vive una crisi nella crisi, un caso di questo genere, seppur doloroso umanamente e professionalmente non dovrebbe suonare strano o imprevisto. Chiunque lavori nel giornalismo, soprattutto su carta, sa bene, da anni, di essere a rischio; dov’è la novità? E’ sbagliato? Sbagliatissimo, certo. Ma non mi venite a fare le Biancaneve che non sanno; le redazioni, tutte, hanno un certo numero di collaboratori esterni, spesso sottopagati, a volte ai limiti della legalità. Però, i postulanti che restano fuori anche da questi sottocontratti o non contratti sono comunque molti di più di quelli che riescono a mettere un piedino in redazione. Evidentemente questa professione esercita ancora un fascino perverso per cui molti sono disposti ad accettare condizioni al ribasso. Sbagliato, ingiusto, scorretto, d’accordo: ma è la legge del mercato.
Credo quindi che questa protesta abbia travalicato il caso specifico per intercettare un maldipancismo generale. E creare una sollevazione popolare (anche con accenti lirici notevoli) contro il “precariato”, che va ben oltre Paola Caruso, il Corriere iniquo, la professione giornalistica.
E alla fine è questo che mi spiace di più, perché credo fermamente nel potere comunicativo di internet e odio vederlo usare in maniera così acritica e massificata.

Per chi vuole provare a capirci di più: qui c’è il tumblr di Paola Caruso e qui alcuni dei suoi sostenitori. De Bortoli nel frattempo ha risposto sulla pagina Facebook del Corriere chiarendo: “Non c’è stata alcuna assunzione, la protesta è infondata” e dice che non ha mai ricevuto richieste di colloquio da Paola Caruso ma è disponibile a incontrarla (il resto qui). Infine, due tra le poche voci fuori dal coro, Matteo Bordone e Guia Soncini. Leggete tutto. E provate, almeno, a farvi un’idea che sia solo vostra.

EDIT Aggiungo il commento di Massimo Mantellini che mi piace soprattutto perché s’interroga sulle reazioni della rete, che era il vero obbiettivo di questo mio post: “E’ il racconto commovente della solidarietà in rete e del talento di chi immagina – ognuno per sé – modi e maniere per poter rendersi utile alla causa. E’ contemporaneamente anche lo specchio di dinamiche meno piacevoli come quelle legate alla scarsa chiarezza del contesto: un amplissimo movimento di convinta solidarietà è nato e cresciuto in poche ore basandosi su pochissime incerte informazioni.” Il resto qui.

Ah, e qui ci sono i commenti a questo post su Friendfeed

147 thoughts on “Paola Caruso, il precariato, le reazioni di pancia

  1. Giovanni Fontana scrive::Angelì, leggi però:Giovanni Fontana scrive::ragione per la quale un’azienda privata dovrebbe essere costrettaah, costretta.
    (se sei pignolo! e io sbadata!)
    costringere, non si può, per legge.
    come si fa a dimostrare chi dei due è più bravo?
    e anche allora, certo, il giornale può dire “cavoli miei, assumo il pivello ché è più simpatico”.
    però, così facendo, contraddirebbe le direttive del mercato: fare bene, fare meglio e, quindi, assumere i più bravi.

    Lorenzo Panichi scrive:: la tipa poteva fare un appello ai consumatori, spingere sul cassetto magaril’appello la tipa lo ha fatto, e pure abbondandemente, direi: uno sciopero della fame, addirittura.
    spingere sul cassetto poteva anche, bastava cercare un altro lavoro.
    se uno è davvero bravo, prima o poi lo trova, forse (di questi tempi è diventata impresa ardua).
    il problema è solo questo, alla fine.Rispondi  |  Cita

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  2. @ angia:
    si lui dice che non capisce perchè se un privato vuol schiacciarsi i coglioni in un cassetto non lo possa fare, cazzi suoi…. la tipa poteva fare un appello ai consumatori, spingere sul cassetto magariRispondi  |  Cita

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  3. Scusa, non ho tempo di leggere tutto quindi spero di non ripetermi…bah, lo sciopero della fame secondo me non serve tanto a ottenere qualcosa ma a dare visibilità al problema. E’ un problema, che fare il giornalista sia “gavetta a vita” per qualcuno, che offre la sua manovalanza intellettuale in cambio di quattro soldi, e che sia posto fisso e ben pagato per altri che offrono la stessa prestazione, se non peggiore? Io penso di sì, e penso che sia un problema che va al di là della stortura delle raccomandazioni, ma che riguarda proprio i meccanismi di carriera inerenti alla professione. Se hai un precario, lo devi pagare di più di un impiegato, mentre i precari del giornalismo fanno la fame. E’ un problema di ordine generale e non personale.Rispondi  |  Cita

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  4. @ rosalux:
    Sì, giusto, rosalux: è un problema di ordine generale. Però allora non si dovrebbe farne una mera questione di assunzione e di scavalcamento da parte di pivelli, no?

    E come appunto si diceva nei commenti precedenti, lo sfruttamento dei precari, senza tutele né garanzie di un futuro diverso, è una vera e propria vergogna. Ma lo è in molti altri ambìti professionali, non solo in quello giornalistico. Sì, ok, qua c’è di mezzo una corporazione, ma ce ne sono tanti altri di casi simili: gli avvocati, ad esempio. Solo che per gli avvocati sono richiesti dei titoli che per il giornalismo non valgono e quindi c’è un’offerta di manovalanza (questo è) maggiore. Per non parlare del fascino che questa professione suscita ancora.Rispondi  |  Cita

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  5. fabio scrive::tu che dici, Dunf?A me il fatto di come uno si “sente” mi pare il criterio etico più sbagliato: perché il “sentire” è, nel 99% dei casi, quello che ti è stato inculcato dalla società. C’è un sacco di gente, io pure qualche anno fa, che pensa che per una donna fare sesso con chi vuole lei (e con quanti vuole lei) è sbagliato, li fa sentire a disagio. Eppure non c’è una ragione logica per.Rispondi  |  Cita

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  6. Angelì, leggi però:
    angia scrive::“Perché, a ogni modo, non riesco a capire proprio la ragione per la quale un’azienda privata dovrebbe essere costretta ad assumere lei, anche se davvero più brava di un altro”Rispondi  |  Cita

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  7. @ Giovanni Fontana:

    “Perché, a ogni modo, non riesco a capire proprio la ragione per la quale un’azienda privata dovrebbe essere costretta ad assumere lei, anche se davvero più brava di un altro”Rispondi  |  Cita

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  8. era
    “non capisco proprio..” ecc.Rispondi  |  Cita

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  9. Be’ ti sei messo in un bel vespaio. Lasciamo stare il caso umano che a te, per provare la giustizia o meno, non potrebbe fregare di meno. Io -per spiegare come ad un bambino – userei il metodo americano. Tu lo apprezzi, perche’ con metodo e provedura si iresce a spiegare quasi ogni cosa; poi a volte servono le eccezioni, ma questo non mi sembra uno dei casi.
    Semplicemente, un americano direbbe che questo e’ un caso di business ed ethics. E come si spiega quando il comportameto dell’azienda e’ etico? Ci sono dei test, piu’ di uno veramente.
    Uno dice: (la decisione) e’ legale? e’ bilanciata? come mi fa sentire?
    C’e’ il test della prima pagina: come persona che ha preso la decisione di non assumere la cococo e invece il ragazzino, come mi sentirei a leggere la notizia sulla prima pagina? E come si sentirebbero i miei cari, moglie, figli amici ecc a leggere la notizia (riportata da un giornalista imparziale, ovvio).
    e ci sono altri schemi, piu’ complicati. Trovo che questi test possano anche giustificare eticamente i vari della valle e lapo.
    tu che dici, Dunf?
    fabchiRispondi  |  Cita

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  10. Che bello Giovanni, finalmente qualcosa di serio sull’argomento. Sono in gran parte d’accordo con te, mi sembra un po’ una sciocchezza lo sciopero della fame. Anche perché non ne comprendo le finalità. Io pure anni fa avevo di fronte una ingiustizia, ho deciso di andarmene da dove lavoravo e ho informato i colleghi. Alcuni mi hanno dato retta, altri meno e ne hanno pagato purtroppo le conseguenze. Ma non mi sarebbe mai venuto in mente di fare un atto di questo genere per far accettare le mie richieste.

    Quello che mi dispiace di questa situazione è che poi chi soffre si rende anche un po’ antipatico. Perché diciamolo, se mi parli di “pivello della scuola di giornalismo” io penso che non stai usando la parola “pivello” per definirlo “giovane”, perché a quello mi compensa già la “scuola di giornalismo”. Allora stai dicendo che non è dotato, quindi ci sono altri motivi per la sua assunzione. Io vedo solamente la raccomandazione allora. Se è raccomandato dillo, che problemi ci sono? Negare questo è rendersi troppo vaghi e poco convincenti. Ti sei già fatta nemica la redazione e i colleghi, non lavori più con loro: fai nomi e cognomi, sono molto più importanti dello sciopero della fame.
    Oggi poi, nomi e cognomi rimangono su internet per molto tempo. Non è come nei giornali cartacei. Qui cerchi e trovi, sempre.

    Per il resto, un’azienda non dovrebbe poter sfruttare la precarietà per tempi così lunghi. E’ un po’ come se il pizzaiolo di cui sopra dopo aver sfruttato a lungo il cugino lo lasciasse da parte senza alcuna garanzia per dare il posto ad un altro lontano parente. Non capita mai, o quasi. Diciamo che se non riesci a trovare qualcuno più bravo di quello che attualmente collabora con te entro un dato periodo di tempo lo assumi punto e basta. Non puoi tenere le persone con il fiato sospeso perché cerchi all’infinito.Rispondi  |  Cita

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  11. il punto, mi pare di aver capito, è che la giornalista è stata una collaboratrice esterna per cinque/sei anni, e solo dopo è stata assunta, per un paio d’anni, con un contratto co.co.pro.
    (ma lei questo non lo dice, un po’ in malafede..)
    questo vuol dire che era in una situazione precaria, lei sperava andasse bene, ma non aveva nessuna certezza di essere assunta.
    le sue speranze sono andate deluse, ma allora se tutti quelli che nutrono speranze di un lavoro sicuro facessero lo sciopero della fame, davvero gli ospedali sarebbero pieni, purtroppo…
    trovo ingiusto dare del “pivello” a qualcuno che magari non lo è.
    chi può giudicare se lei è più brava o no di quel “pivello”?
    (forse il caporedattore che lo ha assunto!)
    se è un raccomandato, basta dirlo, ci vuol chiarezza se si spera di ricevere solidarietà.
    se no l’impressione è che lei se la prenda col collega assunto al posto suo solo per rabbia e invidia.
    trovo quest’atteggiamento un po’ infantile.
    se poi si vuol portare l’attenzione sul problema dei precari, è tutta un’altra storia.
    proprio un’altra.Rispondi  |  Cita

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  12. non sono d’accordo col tuo post solo quando dici che non capisci perché un’azienda privata dovrebbe assumere uno perché più bravo e non un altro meno bravo, se “gli gira”: se io ho un’azienda e voglio farla andare bene, per forza di cose assumo quelli più bravi.Rispondi  |  Cita

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  13. angia scrive::che non capisci perché un’azienda privata dovrebbe assumere uno perché più bravo e non un altro meno bravo, se “gli gira”Dove?Rispondi  |  Cita

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  14. blimunda che bellissimo post! condivido in pieno con te, il “fenomeno” Paola Caruso ha colpito molto anche la sottoscritta, ne ho scritto qui: http://www.panzallaria.com/2010/11/16/paola-caruso-e-lo-sciopero-della-fame/

    io credo che dovremmo interrogarci molto, sia – appunto, come sottolinei tu – sull’importanza della “verifica delle informazioni” (ferma la fiducia che si può avere in lei) sia sul fatto che stiamo erigendo lei a paladina dei precari, ora che fa un gesto estremo e eclatante e per anni abbiamo silenziosamente fatto finta che il problema non esistesse. In Francia hanno lottato per condizioni di lavoro eque e in Italia ora cerchiamo il leader, colui che possa rappresentare tutti, nel momento in cui usa uno strumento così forte. Mi sembra davvero che dovremmo pensarci.

  15. @ verifico Paola da quanto mi pare di aver capito si aspettava/sperava un articolo 2. Che non significa stare al desk, ma solo avere condizioni economiche migliori e qualche sicurezza.

  16. So Basically as my buddy Steve said “the real world sucks & she didn’t know that yet”. While I can appreciate her demise what I don’t get is what is she trying to accomplish by doing this? From my understanding she can “live” without food or water for 8 days. At least I know of a woman who did, pinned by her seat belt in her car for 8 days before she was found. Granted she was in shock the whole time but that’s besides the point.

    As Stefania already stated how many people in Italy are in the same position. What makes her so different? Bottom line is I’m Italian born, with Italian parents including Italian citizenship and inevitably every time I go to Italy I see so much potential laced with so much drama.

    I don’t usually quote anyone especially myself but it holds true today. “I stand firmly that education, communication, exchange of information & engagement are what make social media such an evolutionary revolution.” That’s what Italy needs in order to make change happen.

    In conclusion Paola has apparently gotten the Italian blogosphere attention… now what?

    Questo commento è stato originariamente inviato suInternet PR – Il dialogo in rete tra aziende e consumatori

  17. @Marina ma certo, sperava/aspettava. Anche io spero e aspetto e lotto per arrivare. Ma mi pare di capire che nessuno glielo aveva promesso. E l’assunzione (sic) che le ha fatto prendere questa strada non era nemmeno l’articolo 2. E’ lei, nei successivi interventi, che ha fatto del desk, diciamo così, ‘l’oggetto del desiderio’ in quanto passo successivo a… etc. etc.

  18. Mi scuso se non riesco a leggere i molti commenti sopra, ma sono veramente alle strette col tempo.
    Faccio parte della folta schiera di coloro che hanno condiviso su FB la vicenda di Paola, lo ammetto, senza approfondire troppo, senza interrogarmi sulle tipologie di contratto, senza documentarmi sulla situazione sindacale di Rcs. L’ho fatto perchè, come mi faceva notare una collega poco fa, si parla sempre sui giornali di precariato all’Università, nelle aziende, nella pubblica amministrazione, ma “i precari dell’informazione non protestano mai??”.

    Sarà per quell’amore per la professione di cui parla Blimunda, che come tutte le passioni rincoglionisce, spinge a sacrificarsi, a sperare, anche dove ci sono pocho margini di speranza?
    Sia come sia, ho apprezzato il gesto di Paola, perchè è stata l’unica a fare un gesto plateale, alla faccia di noi moltissimi che restiamo a qui a trovare tutto accettabile, perchè nei giornali si lavora solo per cooptazione o clientela o familismo. D’altronde lo diceva Sabelli Fioretti, tra il serio e il faceto: “Fare il giornalista in Italia è la cosa più facile del mondo: basta nascere figlio di un giornalista”.

    Lo sappiamo, lo consideriamo normale, ci va bene così. La sua è una reazione spropositata e di pancia? Ok, ma è una reazione e tanto a me basta. Almeno per condividere un link…

  19. Max scrive::infatti la mia conclusione personale pessimistica e’ che l’italia e’ come un supertanker in mezzo al mare, con al timone gente che non sa mica navigare tanto bene,Max, come darti torto?
    la tua analisi è lucida ed esatta, purtroppo.
    provo sempre più sconforto nel vedere i politici discutere delle mosse giuste per rimanere al governo o dei trucchetti per scalzare quelli al governo per fare le stesse identiche minchiate.
    nel frattempo la nostra economia va dove di solito va Berlusconi, a p…..
    ieri leggevo che le tv di Berlusconi hanno prosperato soprattutto durante i governi di sinistra, pensa che D’Alema disse che le reti mediaset erano una ricchezza per l’Italia….

    Max scrive::perche’ alla fin fine la gente sotto la stiva che ha messo l’altra gente li al timone non e’ che poi sia tanto meglioe già, come si dice, “mi freghi una volta, sei furbo tu, ma se mi freghi due volte lo scemo sono io”…e intanto Tremonti continua a dire che va tutto bene, benissimo.Rispondi  |  Cita

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  20. lalladellisoladitrulla scrive::la prima cosa che mi viene in mente a leggere il commento di Giovanni coincide in pieno con il post di Giulia B., che non è per niente una cazzata (anche un bambino, magari grandicello, è in grado di capirlo, se si ferma un attimo a pensare prima di infilare una serie di esempi per niente calzanti) : Sorelladitrulla, non è molto facile fare una discussione se dei quattro esempi che ho fatto ne prendi due e dici che non sono calzanti senza spiegare il perché, e ignori totalmente gli altri due che smentirebbero la tua tesi.Rispondi  |  Cita

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  21. A parte il merito della vicenda, la prima cosa che mi viene in mente a leggere il commento di Giovanni coincide in pieno con il post di Giulia B., che non è per niente una cazzata (anche un bambino, magari grandicello, è in grado di capirlo, se si ferma un attimo a pensare prima di infilare una serie di esempi per niente calzanti) : c’è una bella differenza tra un’azienda a conduzione familiare e una società commerciale, che poi è anche una prestigiosa testata abbondantemente finanziata da noi contribuenti. E che quindi, in un fantomatico mondo governato dalla rettitudine, dovrebbe essere tenuta a rendere conto, ai suoi azionisti e sponsor (i contribuenti) di come gestisce l’impresa. Continuiamo ad accontentarci, a guardarci intorno in cerca di fantomatiche scappatoie e “altri lavori”. Sottolineo che non sono stipendiata, lavoratrice autonoma da 20 anni, un po’ per culo, un po’ per competenza, ma il culo, comunque, aiuta. Ultimo commento sul merito: se a uno gli rinnovano il precariato per 7 anni, tanto malaccio come lavoratore non deve poi essere. Paole o non Paole.Rispondi  |  Cita

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  22. @ Gatto Nero: Apprezzo e sottoscrivo, qui il punto non è il merito del caso di Paola, ma lo spunto per quello che si spererebbe un dibattito serio sulle condizioni del lavoro in Italia. Che può anche partire dai blog ma dovrebbe arrivare fino al livello istituzionale (da dove è nato il problema, grazie al nostro eroico Treu e alla sua pseudosinistra promotrice di questo sfascio). Il suo caso ha fatto più rumore di altri (diverso ma affine quello della povera dipendente dell’ASL morta pochi mesi fa a seguito della protesta contro il mancato pagamento degli stipendi, a meno che non pensiate che era anche lei una povera psicolabile in cerca di visibilità). Che chi vuole faccia pure le pulci al caso di Paola, più che legittimo. Ma che non si passi sotto silenzio un problema che esiste e che riguarda tutti, italiani e stranieri, regolari e clandestini… Se iniziamo con i distinguo non finiamo da nessuna parte, altrimenti qualcuno si alzerà da qualche parte per dire che la sua colf non paga le tasse e gode degli stessi diritti di chi li paga… Il punto è combattere contro lo sfruttamento sistematico del lavoro mascherato dietro la sempiterna scusa delle ristrettezze economiche del pase, che per tutto il resto sciala a destra e a manca dai palazzi in giù, finanziamenti ai giornali compresi?Rispondi  |  Cita

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  23. to me some of you guys are totally missing the point. non vivete nel vuoto. vivete in un paese ben preciso. con dei vincoli ben precisi. molti di sti vincoli sono culturali, if you ask me. cose difficili da cambiare…

    L’Italia e’ un paese che non cresce o cresce in modo anemico da 20 anni o quasi.L’Italia e’ anche il paese che e’ assente in 29 dei 30 settori di avanguardia, leader ancora solo nel design -che poi non so piu se sia ancora vero. Avete mai guardato un bilancio dello stato? il 60% del bilancio sono costi dislocati (trasferimenti agli enti locali e pensioni e sanita’), il 14-15% e’ debito, il 18% sono retribuzioni di impiegati pubblici. dopo la Grecia -e si sa dove siano finiti- c’e’ I’talia. 116% GDP in debito, cioe’ per ogni dollaro di beni e servizi prodotti ogni anno avete un debito accumulato di 1.16 dollari. con il restante 2% si deve fare tutto il resto.

    dire che si e’ nella merda completa e’ un understatement.

    ora, ci vorrebbe uno sforzo intellettuale per capire perche’ l’ italia non produce piu e non compete piu, perche il settore di impiego pubblico ha raggiunto livelli insostenibili data la capacita produttiva del paese, o perche ci siano stati periodi dove si e’ permesso di prepensionare persone produttive e giovani di 40 anni, o perche’ il debito pubblico abbia proporzioni cosi enormi etc etc etc.. perche alla fine ste cose non capitano per caso e non e’ tutta colpa di qualcun altro.

    la tragedia invece e’ che a destra e a sinistra vi “vendono lupini”, facili soluzioni o vuoto pneumatico. nessun progetto. io almeno non ne leggo.

    e quando una disperata si inventa una scemenza come questa di cui qui si discute perche’ gli hanno chiuso la porta in faccia e non e’ potuta entrare nel “paradiso dei lavoratori”, la terra promessa del posto a tempo indeterminato con tutti gli orpelli del caso- incluso richiami a roboanti articoli di legge- (“dammi un art. 2!”), c’e’ sta serie di reazioni automatiche di denuncia del Sistema che pero’ non fa avanzare di un centimetro la discussione. perche’ in fondo non cambiano nulla, non aiutano a creare un sistema nuovo che sia “self-sustained”, quanto piuttosto vorrebbero una cosa che gia e’ fallita fosse garantita a tutti.

    e se il problema fosse proprio quel “paradiso”? cioe’ la vostra complicata legislazione del lavoro e le rigidita’ che impone a lavoratori e datori di lavoro? Un sistema che per sua natura crea una barriera tra chi ha e chi non ha, tra chi e’ dentro e chi e’ fuori?

    perche’ e’ vero che le aziende, i capitalisti, Italiani magari non producono o producono sempre meno prodotti ad alto valore aggiunto per loro incapacita-e sicuramente una emorragia annuale di 10-20 mila persone con educazione terziaria e degree avanzati che in fondo preferiscono andarsene altrove perche’ il mercato del lavoro locale ha poco da offrire non aiuta.

    ma e’ anche vero che l’assunzione a tempo indeterminato comporta una pletora di obblighi tali e provvede una serie di diritti enforceable by law tali da rappresentare un disincentivo non solo per il capitale autoctono, ma anche per gli investimenti esteri in Italia.

    questo mi pare un fatto oggettivo.

    la soluzione, allora, non e’ riuscire a entrare nella cerchia degli eletti a tempo indeterminato e superprotetti, quanto portare tutti nello stesso mare di relativa incertezza. che non e’ lo status dei precari-servi moderni, senza ferie, pensione o assicurazione di unemployement. ma e’ lo status conferito da contratti at will come in tanti paesi anglosassoni, dove si’, si puo’ essere licenziati con due settimane di preavviso -o meno- senza tante spiegazioni (se non una causa per discriminazione, if applicable), ma al 95% si trova un nuovo lavoro entro 6 mesi, si ha una protezione contro l’unemployement per mesi, fino ad un anno, si ha una assicurazione medica, si puo’ risparmiare per una pensione, un mutuo per la casa o l’auto, l’educazione dei figli, una vacanza ogni tanto.

    una incertezza dinamica che pero’ garantisce la realizzazione di un proprio progetto di vita.

    perche’ non e’ quello che cercate?

    e allora l’obiettivo dovrebbe essere creare una societa dove per sua struttura, per le dinamiche che economia, legislazione e cultura mettono in atto, vengano creati nuovi posti di lavoro, dove si fanno cose nuove, cose che poi una volta vendute garantiscano alti stipendi a chi le fa. perche’ in una societa del genere nessuno accetterebbe di lavorare come professionista per 7 anni in condizioni del cazzo come Paola, perche’ avrebbe altre 10 optioni piu allettanti. ed i lavori del cazzo rimangono li per quelli che hanno speso male i propri anni formativi (e.g. voglio dire, se quando io a scuola mi facevo il culo tu eri sempre fuori a ballare, se poi finisci a fare l’hamburger flipper dovrei provar pena?). etc etc etc.

    ad alcuni una societa con tale incertezza fa paura. preferiscono una con certezze, anche se poi quelle certezze -per la legge delle risorse limitate- sono li per pochi. da li’ l’incazzatura quando il giochino si rompe e si rimane fuori dalla porta come sta la Paola, qui.

    altri invece preferiscono un gioco dove la sorte, amicizie o parentele giocano un peso inferiore. e se ne vanno.

    infatti la mia conclusione personale pessimistica e’ che l’italia e’ come un supertanker in mezzo al mare, con al timone gente che non sa mica navigare tanto bene, ma che, anche qualora volesse cominciare a sterzare la nave, incontrerebbe resistenze tali, inerzie interne tali da rendere quella curva impossibile o lentissima. specie con il mare mosso. perche’ alla fin fine la gente sotto la stiva che ha messo l’altra gente li al timone non e’ che poi sia tanto meglio nella guida della nave, l’importante per loro e’ che piu o meno galleggi. per quanto e’ un problema che non si pongono.

    e la vita media e’, what, 78 anni?

    …we can’t waste time with them then.Rispondi  |  Cita

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  24. lele scrive::L’esempio di Giovanni pero’ non c’azzecca ..anche perche’ qualcuno tra di noi e’ portato a considerare l’azienda come una seconda famiglia…E questo per me è un errore, Lele, e pure grave: l’azienda non è una “seconda famiglia”. Si basa proprio su altre dinamiche.
    Che poi una persona sia contenta del posto in cui lavora, benone; e che si creino dei legami tra colleghi che vanno oltre il venale rapporto economico, pure, anzi evviva. Ma non può essere considerata una famiglia. Mutatis mutandis con quello che diceva ieri sera Veronica (perdonami la mia licenza non poetica, Veronica): non è mica un matrimonio.

    Ed ecco spiegato anche il mio “mamma Corriere” di qualche commento fa (Gatto?).Rispondi  |  Cita

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  25. Veronica scrive::@ Ila:
    hai ragione – ho mischiato i due commenti. Il mio punto (e credo anche il tuo) è corretto parlare di “regolarizzazione”.Io, però, ho parlato di regolarizzazione solo in riferimento ai clandestini.Poi credo che io vado concettualmente un passo oltre dato che non penso che avere il c.d. “posto fisso” sia un diritto.Neppure io lo penso, Veronica, affatto.Sulle job review: neanche io credo che siano una soluzione (quelle che ho fatto io in Italia erano una buffonata peraltro, ma magari sono stata sfortunata) ma credo che Roberto parlasse invece dei “referral” che sono un meccanismo diverso che mira ad incentivare la raccomandazione. In Italia non esiste (o almeno a me non risulta), proprio perché il limite tra raccomandazione e clientelismo è fumoso e nessuno vuole rischiare di portare le mafiette alla luce del sole.Sì, hai ragione: in Italia diciamo che è abbastanza ‘rischioso’. O meglio, si fa anche quello pulito pulito, però non è istituzionalizzato come all’estero.
    Non so, magari potrebbe essere proprio la killer app del diffuso malcostume italiano.
    Però non so se questo punto potrebbe essere un vero passo in avanti per il turnover. Ci devo ragionare su.

    Scusate, eh. A me fa solo piacere che mi si racconti che succede fuori dall’Italia, soprattutto se può essermi di incentivo a capire come cercare di cambiare, ma a un certo punto qui ho assistito allo “sbarco in Normandia”. All’improvviso il blog di Giovanni è diventato un film neorealista in bianco e nero del dopoguerra: voi eravate tutti lì colle bandierine e la Coca-Cola e noi – povere mondine immerse nelle risaie fino alle ginocchia – a cantare ingenuotte e inermi, mentre subivamo le peggiori vessazioni.Rispondi  |  Cita

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  26. scusate, arrivo un po’ tardi e forse non ho letto bene tutti i commenti, ma mi sembra che da parte di molti emerga un’interpretazione puerile e un po’ di comodo del rapporto di lavoro.
    cito i punti che mi sembrano rilevanti:
    1. l’azienda non e’ tenuta a riconoscere i meriti del dipendente (a tempo pieno o a tempo determinato): e’ nel suo interesse farlo, ma la meritocrazia nelle aziende private non puo’ essere imposta per legge
    2. i meriti del dipendente (assoluti e relativi) ben di rado sono correttamente valutati dal dipendente medesimo. chiunque abbia lavorato in una qualsiasi organizzazione con due o piu’ persone sa che non sempre scelte e valutazioni (specie sui meriti individuali) possono essere condivise da tutti, anzi quasi ssempre non lo sono
    3. il lavoro precario non e’ in contrasto con lo statuto dei lavoratori, che molti citano senza averlo mai letto
    4. se un dipendente o un collaboratore ritiene che i suoi diritti siano stati lesi dall’azienda per cui lavora va dai sindacati o da un avvocato, non fa lo sciopero della fame. e non e’ vero che questo sia possibile solo per chi ha tempo e quattrini
    5. se un dipendente o collaboratore ritiene che pur senza ledere i suoi diritti l’azienda non riconosca adeguatamente il suo valore, semplicemente si cerca un’altra azienda che quel valore sia disposta a riconoscerlo
    6. i mugugni del tipo “sono qui da n anni mi sono fatto il mazzo e premiano altri al posto mio”, anche se giustificati, lasciano il tempo che trovano. questo non al corriere o in Italia, nella vita e ovunque.

    quindi bravo giovanni, hai ragioneRispondi  |  Cita

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  27. D’accordo in parte con Giovanni, ma oltre alla personale vicenda di Paola: il nocciolo del precariato, delle raccomandazioni e di tutto quello che e’ caratterizzante dell’italia passata recente, presente e futura deve essere affrontato, anche grazie al, spero momentaneo, sacrificio di Paola.

    L’esempio di Giovanni pero’ non c’azzecca ..anche perche’ qualcuno tra di noi e’ portato a considerare l’azienda come una seconda famiglia.. se Hossam prima fa lavorare me, suo nipote, e dopo 7 anni porta un altro nipote con migliori condizioni e io non ritengo abbia i requisiti..be’ mi arrabbio un pochetto, no?Rispondi  |  Cita

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  28. Veronica scrive::@ Ila:
    hai ragione – ho mischiato i due commenti. Il mio punto (e credo anche il tuo) è corretto parlare di “regolarizzazione”.Io, però, ho parlato di regolarizzazione solo in riferimento ai clandestini.Poi credo che io vado concettualmente un passo oltre dato che non penso che avere il c.d. “posto fisso” sia un diritto.Neppure io lo penso, Veronica, affatto.Sulle job review: neanche io credo che siano una soluzione (quelle che ho fatto io in Italia erano una buffonata peraltro, ma magari sono stata sfortunata) ma credo che Roberto parlasse invece dei “referral” che sono un meccanismo diverso che mira ad incentivare la raccomandazione. In Italia non esiste (o almeno a me non risulta), proprio perché il limite tra raccomandazione e clientelismo è fumoso e nessuno vuole rischiare di portare le mafiette alla luce del sole.Sì, hai ragione: in Italia diciamo che è abbastanza ‘rischioso’. O meglio, si fa anche quello pulito pulito, però non è istituzionalizzato come all’estero.
    Non so, magari potrebbe essere proprio la killer app del diffuso malcostume italiano.
    Però non so se questo punto potrebbe essere un vero passo in avanti per il turnover. Ci devo ragionare su.

    Scusate, eh. A me fa solo piacere che mi si racconti che succede fuori dall’Italia, soprattutto se può essermi di incentivo a capire come cercare di cambiare, ma a un certo punto qui ho assistito allo “sbarco di Normandia”. All’improvviso il blog di Giovanni è diventato un film neorealista in bianco e nero del dopoguerra: voi eravate tutti lì colle bandierine e la Coca-Cola e noi – povere mondine immerse nelle risaie fino alle ginocchia – a cantare ingenuotte e inermi, mentre subivamo le peggiori vessazioni.Rispondi  |  Cita

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  29. Ila scrive::Io, però, ho parlato di regolarizzazione solo in riferimento ai clandestini.Ai lavoratori clandestini.Rispondi  |  Cita

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  30. Non intervengo nel merito della discussione, ma solo per richiamare il fatto che gesti analoghi, sebbene spinti da motivazioni diverse dovute comunque alla abnorme situazione di questo paese, non hanno sollevato la stessa ondata di solidarietà. Certo, nel caso di Paola ci sono di mezzo i social network e la familiarità con i mezzi di informazione.

    Ma quando nel giro di pochi mesi avvengono cose come questa http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/201005articoli/54997girata.asp e altri casi di vario genere, tra cui quello di Paola, sarebbe doveroso che si avviasse un dibattito SERIO* su cosa vuol dire lavorare in Italia, su quanto la casta e i meccanismi di formazione del consenso che passano per finanziamenti pubblici e via discorrendo effettivamente costino alla società e ai singoli individui che consentono allo Stato di funzionare con i loro denari versati sotto forma di tasse (dirette, indirette e quant’altro).

    Concludo rallegrandomi che la rete sia ancora lo spazio libero che dà voce alle cause delle persone, delle classi e dei gruppi, perché a prescindere dai fenomeni “viscerali” (le derive esistono in qualunque fenomeno), questa è la prima volta nella nostra storia che abbiamo modo di esprimerci, ascoltarci e unirci superando le distanze fisiche e con tutti i mezzi a disposizione per verificare. Una forza come questa non l’avevamo mai avuta, speriamo che duri, perché la rete FA PAURA AL POTERE. Sbrighiamoci ad imparare a usarla al meglio.
    *Ovviamente utopico aspettarsi che ad occuparsene siano i vari iniqui governi che si avvicendano al timone della nazione, troppo occupati a difendere le loro posizioni per pensare al destino del loro popolo.

  31. @ Giovanni Fontana:

    c’e’ un motivo per il “come si sente”. Io sare i pronto a rubare a te per sfamare un bambino che piange, e mi farebbe sentire anche bene, pur nell’assenza di legalita’ e bilanciamento. Il test deve essere preso per intero.

    Per la cococo non assunta: la soluzione e’ legale? e’ bilanciata? come fa sentire i soggetti in merito?

    Per lapo: la soluzione e’ legale? Si. E’ bilanciata? direi di si. Come fa sentire i soggetti in questione? non pare sia molto rilevante il problema.Rispondi  |  Cita

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  32. Giovanni Fontana scrive::Oddio, un altro complotto!Eh, quando l’antica sapienza della casta si stringe a cOrte, vecchio mio, non c’è trippa per gatti.Rispondi  |  Cita

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  33. lalladellisoladitrulla scrive::Caro Giovanni, se non ti sei inalberato, chissà quale altro motivo ti ha spinto a storpiare il mio nick.Ahahaha, mo pure il complotto. Non solo hai deciso che mi sono inalberato, ma hai anche deciso il perché, e cosa faccio quando mi arrabbio. Lo sai sicuramente meglio di me, guarda.

    lalladellisoladitrulla scrive::Anche tu non mi pare ti sia soffermato un granché sull’analisi che proponevo nel mio post, o su quella di Gatto Nero. Vabbè, è il TUO blog, la TUA opinione, quelle degli altri (almeno quelle in dissenso) non mi pare ti interessino un granché.Io non ho mai avuto questo atteggiamento nei confronti del mio blog, mai, puoi chiedere conferma agli altri frequentatori. Proprio non ho trovato l’analisi, nel tuo commento o in quello di Gatto Nero, dopo aver cercato di darla: ho fatto delle domande a Gatto Nero a cui lui non ha risposto. Poi sono intervenute tutte persone che erano d’accordo con quello che avevo scritto, e allora mi sono disinteressato alla discussione.

    Il problema è che né tu né Gatto Nero avete fatto una critica concreta: io dico che lo sciopero della fame perché una persona è stata assunta invece di te è una sciocchezza.

    Tu dici: ne dobbiamo indagare i motivi. Avvalorando quindi la mia tesi che lo sciopero sia una sciocchezza. Bene, indaghiamoli, e non ho trovato niente di propositivo in quello che dici. Dimmi cosa proproni, quali sono le tue idee, e ti dico cosa ne penso.

    lalladellisoladitrulla scrive::Per antica sapienza il potere sa che la strada migliore è quella del “dividi et impera”, 2000 anni fa come oggi. Oddio, un altro complotto!
    E, per inciso, non so quanto il cosiddetto pivello, che si è visto additato così si sia sentito “unito” a Paola nella sua lotta contro il precariato.Rispondi  |  Cita

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  34. Giovanni Fontana scrive:
    ti ho fatto due esempi che smentiscono completamente il tuo esempio e li hai ignorati. (…)
    Mi vuoi rispondere perché non hai fatto lo sciopero della fame contro Lapo Elkann?
    Caro Giovanni, se non ti sei inalberato, chissà quale altro motivo ti ha spinto a storpiare il mio nick.

    Ovviamente non sono io che sto facendo lo sciopero della fame ma Paola. Personalmente, oggi come oggi, troverei molto più efficace un bello sciopero fiscale di tutto il precariato, invece di queste iniziative che a parte far riflettere gente come noi, che a quanto pare si sforza di essere parecchio riflessiva comunque, servono a poco. Ovviamente i membri della casta destinatari dell’iniziativa si stringono a corte affrettandosi a sciorinare analisi su analisi per lasciare tutto esattamente com’è. Finché lo fanno loro, non ci trovo niente di strano. Ma quando lo fanno anche i precari, allora mi preoccupo. Io sono “precaria” (nel senso che guadagno da vivere per me e mia figlia senza la “sicurezza” di un contratto a tempo indeterminato), tu non so.

    Gli esempi della Tod’s e della Fiat sono senz’altro più calzanti dei primi due, ma non mi risulta che ci siano stati scioperi della fame da parte di qualcuno che è stato sbattuto fuori per fare posto a Lapo o altro illustre rampollo (che ne dici del Trota?). Se mi fosse giunta notizia virale in proposito, avrei probabilmente avuto una reazione simile a quella che ho adesso. Che non è di cieca adesione, ma di riflessione sui perché di una tale situazione e sui pericoli di ritorcerci come al solito tutto contro per l’intellettualistica smania di analizzare i dettagli perdendo di vista il quadro generale.

    Ovviamente trovo molto ingiusto il familismo, che non si può dire appartenga tradizionalmente solo al nostro paese. Ma trovo sacrosanto che la gente che si sente colpita metta in atto le forme di protesta che trova più giuste, che si tratti di restare per giorni su una gru, di levarsi 150 ml di sangue al giorno o di fare lo sciopero della fame. Certo se nessuno protesta è molto difficile che le cose possano cambiare.

    Un secolo e più di lotte ci avevano portato a una certa pace sociale. Tutto questo è cambiato, e non sono per niente certa che sia cambiato per inesorabile esigenza della storia.

    Anche tu non mi pare ti sia soffermato un granché sull’analisi che proponevo nel mio post, o su quella di Gatto Nero. Vabbè, è il TUO blog, la TUA opinione, quelle degli altri (almeno quelle in dissenso) non mi pare ti interessino un granché.

    Credo di aver detto abbastanza, questa discussione si è parecchio attorcigliata su se stessa. Peccato, peccato che si riesca sempre a concentrarsi su ciò che ci separa, invece che su ciò che ci unisce. Per antica sapienza il potere sa che la strada migliore è quella del “dividi et impera”, 2000 anni fa come oggi. Che tristezza.

    Buon futuro a te, che mi pari abbastanza giovane, il mondo di domani dipenderà anche da te.Rispondi  |  Cita

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  35. lalladellisoladitrulla scrive::Perciò non ti inalberare, se continuo a pensare che gli esempi non siano calzanti. Inalberare? Ma quando mai? Semplicemente dici che non sono calzanti, che una piccola azienda familiare è diversa, ma non spieghi perché. In più ti ho fatto due esempi che smentiscono completamente il tuo esempio e li hai ignorati.

    lalladellisoladitrulla scrive::Parliamo di un’impresa privata che sopravvivacchia grazie a soldi pubblici, che nonostante il biberon dello Stato languisceAh, quindi l’intero tuo ragionamento, la tua distinzione si basa sui contributi all’editoria: quindi anche per gli agricoltori, contributi all’agricoltura, e se nel campo ci mandi tuo fratello gli facciamo lo sciopero della fame contro.

    Non è vero: tu avresti difeso l’iniziativa anche a legge contro i fondi dell’editoria passata e messa in atto. O sbaglio?

    Sai quanti soldi ha preso la Fiat dallo stato? Mi vuoi rispondere perché non hai fatto lo sciopero della fame contro Lapo Elkann?Rispondi  |  Cita

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  36. Veronica scrive::Veronica scrive::
    @ Ila:
    Io, però, ho parlato di regolarizzazione solo in riferimento ai clandestini.
    è corretto parlare di regolarizzazione per clandestini, sia lavoratori che non (poi si può essere più o meno d’accordo)Veronica, una primissima puntualizzazione, poi leggo meglio tutti gli interventi e vedo di rispondere con calma, semmai: poiché in questo post(o) si parlava di lavoratori, son rimasta in questo ambito. Poi, appunto, essendo abbastanza attiva su questo fronte, potremmo pure parlare della regolarizzazione dei clandestini non lavoratori.
    Un’avvertenza, però, spero scontata: non commettiamo l’errore, altrettanto grave e dannoso quanto la sua antitesi, di affermare la tesi che tutti gli stranieri o clandestini sono ‘buoni’. Si rischia di fare un pessimo servizio a tutti e di dare degli argomenti pretestuosi a chi non aspetta altro per farsi forte.Rispondi  |  Cita

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  37. @ Giovanni Fontana:
    Giovanni Fontana :
    Sorelladitrulla, non è molto facile fare una discussione se dei quattro esempi che ho fatto ne prendi due e dici che non sono calzanti senza spiegare il perché, e ignori totalmente gli altri due che smentirebbero la tua tesi.
    Il tuo esordio non è dei migliori, eh Giovanni? Posto che sei tu a chiedere sin dal titolo spiegazioni “come a un bambino”, come tale a te mi rivolgo, ma se hai cambiato idea ti prego di esplicitarlo, bene in VISTA. Gli esempi non sono calzanti e se leggi bene il mio post spiego anche perché. Qui non parliamo di pizzerie, di pubblico impiego e nemmeno di privato, ma di uno di quegli odiosi mostri al limitare tra il privato, il pubblico, il familiare, il consortile e il clientelare che solo il nostro sistema riesce a produrre. Parliamo di un’impresa privata che sopravvivacchia grazie a soldi pubblici, che nonostante il biberon dello Stato languisce (c’è qualcuno che si chiede il perché, o solo il perché del gesto di Paola?), e che comunque pretende di comportarsi come una libera entità, cosa che NON E’. Perciò non ti inalberare, se continuo a pensare che gli esempi non siano calzanti.

    @Max: penso che il liberismo che tu proponi sia una delle soluzioni possibili, ma il problema in questo paese è proprio che è il paese che è. Il nostro paese ha una storia molto diversa dall’America, e finché il sistema (grazie al nostro sempre riverito D’Alema e ai suoi soci, Treu e via dicendo, dal 1996 in poi) non è stato preso ad accettate da tutte le parti fino a trasformarlo in una mostruosità senza capo né coda ha funzionato piuttosto bene, con tutte le sue orride pecche. Non prolungo l’analisi perché parliamo di quasi 15 anni di storia. Per riformare la questione prima bisogna decidere a che principi ci si vuole ispirare. Il libero mercato è uno di questi, ammesso che il tasso di crescita dell’economia a cui ti riferisci sia il valore che vogliamo mettere al centro delle nostre priorità (la Cina cresce da paura, ma a che prezzo, dico a che prezzo???), ma esistono anche modelli diversi, e non è detto che la creatività umana in materia sia esaurita.

    Io non volevo proporre la ricetta per risolvere il problema, non penso di poter arrivare a tanto in un post, ma ribadire che secondo me la questione di Paola è sintomatica, come tante altre, come quelle a buon diritto citate da Ila. Che Paole o non Paole in un paese dove per fortuna alcune lotte trovano voce perché “di classe” (e ora non mi crocefiggete se uso questo termine), è giusto che anche altre battaglie emergano. E pazienza se il pretesto non era quello perfetto.

    Io sono un’operatrice del cosiddetto “terziario avanzato”, una lavoratrice della conoscenza, e faccio parte anche io di una categoria non riconosciuta e ampiamente disagiata, che però svolge un ruolo importantissimo per lo sviluppo economico di questo paese, almeno secondo gli attuali parametri dell’economia. Non ho ordine, non ho indennità di malattia, pago di tasca mia piu INPS di tutte le altre categorie di lavoratori per pagare la cassa integrazione e altri ammortizzatori sociali di cui io non godo, e mi sono rotta i coglioni di questa gente (politici, giornalisti, imprenditori e via discorrendo) che pontifica sull’economia, la politica e la crisi trincerata dietro al suo stipendio/emolumento da membro di una delle varie caste, fregandosene di cosa c’è nel paese reale.

    Perciò se una Paola ci fa parlare (non ho neanche sposato e linkato la sua causa, figuriamoci!) in modo trasversale del problema, in giorni in cui tutto si sta muovendo, in cui abbiamo veramente la possibilità di fare qualcosa di concreto, e noi ci fermiamo a fare le pulci alle intenzioni invece di andare al sodo, ossia di definire tra noi cosa fare veramente per mandarli tutti a casa e riprenderci il futuro di un paese che ha ancora parecchio da dire… Bè, che peccato!Rispondi  |  Cita

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  38. Qualcuno mi spiega perché fare lo sciopero della fame quando si è giovane, laureata, carina, con 7 anni di esperienza di giornalismo, nessun timore di morire di fame o di stenti o di finire per strada, è una reazione normale e giustificabile? No perché a me, senza tirar fuori patologie, sembra quantomeno eccessivo e frutto della reazione impulsiva di una persona frustrata che ha bisogno di “emotional payment”. Non una colpa, un fatto! Se fosse normale, i muratori clandestini che vivono in sei in una baracca cosa dovrebbero fare?

    Max scrive::ad alcuni una societa con tale incertezza fa paura. preferiscono una con certezze, anche se poi quelle certezze -per la legge delle risorse limitate- sono li per pochi. da li’ l’incazzatura quando il giochino si rompe e si rimane fuori dalla porta come sta la Paola, qui.
    altri invece preferiscono un gioco dove la sorte, amicizie o parentele giocano un peso inferiore. e se ne vanno.E’ questo il punto. Vista da lontano sembra mera avversione al rischio. Vista da vicino, è molto peggio. Quando Paola sciopera per “non essere precaria a vita” (cito dal tumblr), in realtà intende molto di più, o qualcuno crede che si accontenterebbe di un full time come donna delle pulizie? No, vuole essere una giornalista, scrivere per una testata prestigiosa, avere un buono stipendio e ferie pagate. Sono, mutatis mutandis, le stesse cose che voglio io. Ma io non le vedo come un diritto. Quando mi resi conto che ero sfruttata e che non ne valeva la pena nemmeno nel lungo periodo, ho detto arrivederci e tante care cose. Rischioso, certo, ma non sono le scelte più rischiose che riservano le ricompense maggiori?

    Ila scrive::Veronica scrive::
    @ Ila:
    hai ragione – ho mischiato i due commenti. Il mio punto (e credo anche il tuo) è corretto parlare di “regolarizzazione”.
    Io, però, ho parlato di regolarizzazione solo in riferimento ai clandestini.è corretto parlare di regolarizzazione per clandestini, sia lavoratori che non (poi si può essere più o meno d’accordo)

    Ila scrive::Non so, magari potrebbe essere proprio la killer app del diffuso malcostume italiano.
    Però non so se questo punto potrebbe essere un vero passo in avanti per il turnover. Ci devo ragionare su.proprio oggi leggevo di questo: http://www.whartonmagazine.com/blog/2010/11/the-entry-interview-why-wait-until-employees-leave/
    si tratta di una specie di colloquio post-assunzione che mira a capire quali sono le aspettative dei neoimpiegati, perche è vero che quando in gioco c’è il posto di lavoro nessuno scopre tutte le carte in tavola. Chissà, magari se questo colloquio fosse avvenuto al Corriere, magari Paola avrebbe avuto occasione di dire: le mie aspettative sono di essere assunta a tempo indeterminato entro 5 anni. Le mie aspettative sono che se si libera un posto i co.co.co hanno prelazione su quelli della scuola. Magari non cambiava nulla, magari sì. Anche solo risparmiare 2 anni di vita ad inseguire un sogno impossibile non sarebbe stato da buttare, a mio parere.

    Ila scrive::
    Scusate, eh. A me fa solo piacere che mi si racconti che succede fuori dall’Italia, soprattutto se può essermi di incentivo a capire come cercare di cambiare, ma a un certo punto qui ho assistito allo “sbarco in Normandia”. All’improvviso il blog di Giovanni è diventato un film neorealista in bianco e nero del dopoguerra: voi eravate tutti lì colle bandierine e la Coca-Cola e noi – povere mondine immerse nelle risaie fino alle ginocchia – a cantare ingenuotte e inermi, mentre subivamo le peggiori vessazioni.

    :D
    ma no nessuno qui vuole sventolare bandierine. gli USA sono un paese dove tante cose vanno meglio e tante cose vanno peggio. sul mercato del lavoro sicuramente vanno meglio, e non hanno la presunzione tutta italiana di avere la sedia pronta. E’ troppo facile incolpare il destino cinico e baro, il capitalismo che sfrutta in lavoratori (@lalla). Ho googlato una cosa al volo e mi è uscito questo: http://www.infoplease.com/ipa/A0922052.html
    Media giorni di ferie in Italia: 42. USA: 13. Chi me lo fa fare a rinunciare a 29 giorni di ferie? Solo uno stipendio più alto, molto più alto. Insomma, il mio punto non è che gli USA sono meglio per principio, è che l’Italia funziona in una certa maniera perché molti l’hanno voluta e la vogliono in quella maniera, non perché ci sono i padroni brutti e cattivi.

    Spero di non aver fatto casino coi quote.Rispondi  |  Cita

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  39. Se non è una proposta questa: “oggi come oggi, troverei molto più efficace un bello sciopero fiscale di tutto il precariato, invece di queste iniziative che a parte far riflettere gente come noi, che a quanto pare si sforza di essere parecchio riflessiva comunque, servono a poco”.

    Leggi poco attentamente, di “pancia” direbbe Blimunda, dove ho reperito questo link. Non ho parlato di complotti, ma di una precisa storia italiana. Hai scritto di quella povera disgraziata, del suo, per carità, sbagliatissimo additare il pivello di turno, ma poco della situazione in cui si inserisce “il caso”. Che non riguarda solo i cosiddetti “precari”. La precarietà è generalizzata per tutti. La donna che si è svenata era una pubblica dipendente, quindi “sicura” secondo i canoni, però da mesi non riceveva lo stipendio. Il problema VERO è che si maschera da costo del lavoro il costo dei supermanager (che quando toppano, contrariamente alla nostra Paola, non pagano mai, anzi vengono liquidati con premi stratosferici), da costo sociale il costo delle conventicole che si spartiscono la torta del nostro paese, da costo della sanità il costo di una politica iniqua, da costo dell’istruzione il costo dello sperpero del denaro pubblico.

    A scuola di mia figlia mi chiedono di comprare giocattoli e di dipingere le pareti della classe perché non ci sono soldi (e siamo fortunati, perché altrove le scuole crollano uccidendo i bambini). Per dirla con l’arguto Shylock Shylock non c’è trippa per gatti..

    E lo farò, anche se più del 50% di ciò che guadagno va già allo stato in prelievi diretti, più il 20% di ogni mio acquisto sotto forma di IVA. Ma a questo paese non basta mai. E’ di ieri la notizia che siamo il paese con il più alto carico fiscale del mondo. Ti dice nulla?

    Lo sciopero fiscale non risolverebbe la situazione, ma costringerebbe le istituzioni a mettere SUBITO il problema sul tavolo, molto più di iniziative isolate e peraltro, come in questo caso, convego con te, pure pensate male. Ma il problema non è Paola. Paola è il sintomo.

    Se pensi che il senso di tutto quello che ho scritto nei miei post si riduca a una visione complottista, vabbè. “Semplificare”, e buttare tutto in caciara è uno sport nazionale in questo paese, di cui l’attuale capo del governo è uno dei massimi campioni.

    PS: Neanche l’esempio dei fondi all’agricoltura è calzante, l’UE finanzia un settore, non un’impresa, e se nella mia impresa agricola a conduzione familiare ci metto mio fratello, torniamo al punto di partenza. Però pare che l’imprenditore agricolo invece del fratello preferisca i braccianti africani a 5 euro al giorno, vuoi mettere, che risparmio, di denaro e di beghe familiari…Rispondi  |  Cita

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  40. lalladellisoladitrulla scrive::Se non è una proposta questa: “oggi come oggi, troverei molto più efficace un bello sciopero fiscale di tutto il precariato, invece di queste iniziative che a parte far riflettere gente come noi, che a quanto pare si sforza di essere parecchio riflessiva comunque, servono a poco”. Una proposta su come vorresti il mercato del lavoro, non su come protestare più efficacemente.

    lalladellisoladitrulla scrive::Non ho parlato di complotti, ma di una precisa storia italiana.Accidenti! Hai pure deciso che A) mi ero arrabbiato, nonostante ti dicessi il contrario B) che il mio modo di arrabbiarmi è quello di storpiare un nome, nonostante tu non mi conosca.

    lalladellisoladitrulla scrive::E’ di ieri la notizia che siamo il paese con il più alto carico fiscale del mondo. Ti dice nulla? Eh, appunto: non è che stai giocando su entrambi i tavoli.

    lalladellisoladitrulla scrive::Se pensi che il senso di tutto quello che ho scritto nei miei post si riduca a una visione complottista, vabbè. “Semplificare”, e buttare tutto in caciara è uno sport nazionale in questo paese, di cui l’attuale capo del governo è uno dei massimi campioni. Prego, dài: spiegami logicamente cosa vuoi implicare con questo.

    lalladellisoladitrulla scrive::PS: Neanche l’esempio dei fondi all’agricoltura è calzante, l’UE finanzia un settore, non un’impresaEsatto: anche lo Stato finanzia il settore dell’editoria!
    È complicatissimo, mi pare, fare il dribbling dei paletti

    lalladellisoladitrulla scrive::e se nella mia impresa agricola a conduzione familiare ci metto mio fratello, torniamo al punto di partenza.Torniamo proprio al punto di partenza! Prima, con Fiat, avevamo deciso che la conduzione familiare non era il punto. Ora invece torna a esserlo.

    lalladellisoladitrulla scrive:: Però pare che l’imprenditore agricolo invece del fratello preferisca i braccianti africani a 5 euro al giorno, vuoi mettere, che risparmio, di denaro e di beghe familiari…Mi spieghi cosa c’entra? Come se l’onere di questa cosa dovesse stare sulla mia posizione: semmai sulla tua!Rispondi  |  Cita

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  41. M’inserisco solo per chiedere una precisazione a Lalla.

    lalladellisoladitrulla scrive::Ripeto, per quanto Paola possa aver sbagliato, il suo gesto secondo me, giusto o sbagliato che sia, è un sintomo.Un sintomo di che cosa, Lalla?

    Perché nel settore del giornalismo è sempre stato così, e non penso che Paola fosse così ingenua da non saperlo quando ha iniziato la solita gavetta.

    Anzi, come dice il commento che io ho linkato qualche giorno fa ( http://www.freddynietzsche.com/2010/11/14/nomen-omen-detto-da-un-basso-continuo-a-un-tenore-napoletano-del-secolo-scorso/comment-page-3/#comment-28994 ), la situazione di quelli come Paola è molto cambiata da qualche anno a questa parte ed è ‘regolamentata’ (e la sua posizione poi, per alcuni aspetti, è persino più ‘privilegiata’, vedi i contributi):un contratto di collaborazione continuativa. Un contratto migliore di quello dei freelance “sfigati” pagati a pezzo, perché prevede – ad esempio – il pagamento dei contributi all’Inpgi2.È una free lance, come ce ne sono migliaia in quel settore. E non tutte devono necessariamente essere assunte, proprio no. Io non vorrei mai lottare per questo, con tutti i sorprusi reali che ci sono in questo mondo del lavoro.
    Oltretutto lei ha pure avuto la sua chance: è stata messa alla prova per una sostituzione e non è riuscita a farcela.

    Quindi a me spiace, ma Paola non mi pare proprio un “sintomo”.
    Non so, vogliamo chiamarlo un pretesto?Rispondi  |  Cita

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  42. Giovà – questa chiarisco che è una forma tronca amichevole tesa a tagliar corto, nel mio caso sarebbe Lallè, per formazione e lavoro sono “linguista” ;) – Tanto per chiudere la mia parte di questa discussione, ti dico per riassumere (argomento iniziale: Paola sì, Paola no) che secondo me il problema non è il mercato del lavoro, ma quello dello sperpero sistematico, o se vuoi, quello del dare moltissimo a pochi levando tantissimo a molti. Ridimensionato (e bada bene, non dico azzerato, però deve esserci un limite) lo squilibrio, il problema lavoro si aggiusta molto più facilmente. Non credo alle soluzioni “cinesi”. Né me le auguro. Ripeto, per quanto Paola possa aver sbagliato, il suo gesto secondo me, giusto o sbagliato che sia, è un sintomo.

    Ti lancio un quesito e un nuovo argomento di discussione: interi settori di questo paese si reggono sul volontariato. Secondo te chi fa “politica” non dovrebbe farlo a titolo volontario? Tanta gente spende tanto del suo tempo per fare attività politica (e altre attività di “pubblica utilità”) in modo assolutamente gratuito. Se si azzerasse la professione del politico (o ancor meglio, la professione di rappresentante del popolo ai vari livelli di governo) per rilanciare la “vocazione” del politico, eliminando insieme allo stipendio anche la conseguente pensione garantita del politico (a noi ci vogliono circa 40 anni di contributi per andare in pensione, ammesso che ‘sti contributi versati un giorno ci vengano restituiti sotto forma di pensione), quanti soldi e quanta pulizia amministrativa recupereremmo? Chi perde una giornata di lavoro per fare “politica” avrebbe solo il gettone di presenza per i giorni effettivamente impiegati e il rimborso delle spese di viaggio sostenute (economy). Assente in seduta? Zero gettone.

    Ovviamente devo semplificare e riassumere, ma l’idea centrale sarebbe questa. Poi verrebbe il capitolo tetti alle prebende e meritocrazia. Ma è tardi e devo tornare al lavoro… CiaoRispondi  |  Cita

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  43. @ Ila
    Ciao Ila, eh, tra me e Giovanni c’è uno scambio che dura da giorni, a volte sbagliamo un po’ la mira perdendo di vista il senso generale del discorso, cercavo per l’appunto di ricapitolare. Non se se avrai tempo e pazienza per dare una scorsa ai post precedenti, ad ogni modo mi riferisco alla situazione in cui oggi versa la maggioranza dei lavoratori (o addirittura dei cittadini), compresa io stessa, che non opero in ambito giornalismo, ma nel terziario avanzato, sono una cossiddetta “lavoratrice della conoscenza”. Free lance, senza contratti (Paola non credo sia una free-lance, ma una lavoratrice a contratto a tempo determinato). Se mi chiamano, lavoro, se non mi chiamano nisba. Per fortuna da 20 anni a questa parte mi chiamano! Nonostante paghi da oltre 10 anni una quota INPS altissima (circa il 28% del mio lordo, praticamente a mio intero carico), non mi pagano la malattia, non ho supporti alla disoccupazione, niente ammortizzatori sociali.

    Chiamiamolo sintomo, chiamiamolo pretesto, purché si rifletta cercando di non perdersi nel dettaglio del singolo “caso”. Nei miei post facevo l’esempio anche della povera dipendente asl che qualche mese fa è morta a seguito della sua protesta per il mancato pagamento degli stipendi. Il punto secondo me è la situazione aberrante di questo paese. Ti posto un link che più o meno rientra nella logica di quanto dicevo nel mio ultimo intervento (si dà moltissimo a pochi per togliere tantissimo a molti, si sperpera per poi imputare i costi alle questioni sociali). Se la gente arriva a forme di protesta così estreme, ci dovrà pur essere qualcuno che cerchi di indagare il quadro senza fermarsi alla fragilità dei nervi o alle aspettative deluse dei singoli.

    Io penso che oggi abbiamo la possibilità di cambiare, che la rete -finché dura libera- ci dà gli strumenti per unirci sulle questioni di massima al di là dei colori politici, e che è in nostro assoluto potere attuare forme di protesta dure, incisive, capaci di forzare la mano agli inetti timonieri di questa nave. E che è importante, sì, analizzare il dettaglio, ma cercando di indirizzare il tutto verso forme positive di azione, altrimenti rischiamo di fare gli errori del passato, di perderci negli intellettualismi intanto che il sistema ci sfila di sotto i diritti acquisiti in oltre 100 anni di lotte durissime. Spacciando per verità suprema la balla del costo del lavoro, della sanità o dell’istruzione, e passando sotto assoluto silenzio l’orrido sperpero di fiumi di denaro dei contribuenti e dei consumatori. Ti pare logico che nell’era della telecomunicazione in un paese in cui di fatto vige ancora il monopolio sull’infrastruttura telematica la Telecom (creata con i soldi dei cittadini) passi una crisi via l’altra? Se l’azienda monopolista di un settore in crescita è in crisi, non penso il problema siano i lavoratori, semmai la gestione. Eppure i supermanager che toppano vengono premiati alla stragrande, alla faccia della meritocrazia.

    http://dilatua.libero.it/attualita/telecom-niente-esuberi-ma-bl8667.phtml

    Taglio, e torno al lavoro.

    Ciao!Rispondi  |  Cita

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  44. Lalla, scusami il ritardone nel risponderti.
    Ti ringrazio della tua ulteriore spiegazione. Dirti che sostengo chi è vittima di vessazioni e sorprusi è un’ovvietà. Sul come, su quale possa essere il mezzo più efficace o anche solo più appropriato, io vado un po’ a tentoni, provando a dare una mano, ascoltando le storie di tante persone, documentandomi come posso, e soprattutto tentando di cambiare qualcosa, qui e ora. Chissà… Io ci spero!

    Ciao, Lalla, e in bocca al lupo!Rispondi  |  Cita

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